Solidarietà a Gaza: disertare l’Occidente delle guerre, a fianco di chi resiste.

Come compagne e compagni dell’Ambulatorio Medico Popolare, da ormai più  di un mese assistiamo impotenti al genocidio che il governo di Israele sta perpetrando a Gaza.
Da giovedì notte, Israele volutamente e scientemente attacca gli ospedali e le strutture sanitarie di Gaza: se sui fatti dell’ospedale di Al Ahli possiamo dire di aspettare analisi forensi indipendenti che — molto probabilmente — non avranno mai luogo, e di cui comunque sospettiamo l’esito, quanto sta accadendo ora agli ospedali di Gaza è testimoniato, filmato, provato, mentre Israele e i governi e media mainstream occidentali provano a convincerci che questo sia necessario per eliminare Hamas.
E anche se fosse, ai nostri occhi questo non giustifica il massacro, la carneficina, l’orrore. Non giustifica i morti a causa delle esplosioni, i morti a causa della chiusura degli ospedali, le ustioni da bombe al fosforo, le amputazioni da missili Hellfire.
Vorremmo dire che i video che ci arrivano da Gaza ci mostrano l’inferno in terra, e sì, lo fanno, ma come, drammaticamente, avviene in qualsiasi momento della guerra: rivendichiamo una posizione antimilitarista per  cui la guerra è da condannare anche se non colpisce gli ospedali, e rifiutiamo la retorica per cui “anche la guerra ha le sue leggi” perché  ne rifiutiamo la premessa, ossia la guerra stessa.
Crediamo, però, che quanto sta accadendo agli ospedali di Gaza dia la cifra dell’assedio criminale e crudele che viene perpetrato con la  complicità dei governi occidentali: un genocidio davanti a cui proviamo orrore, consapevoli che sono i nostri governi a inviare armi e a rimanere silenti, nell’ipocrita convinzione, di colonialista memoria, che siamo la parte “buona” e “civilizzata” del mondo, dopo decenni di menzogne per perpetrare altra violenza in nome della “democrazia”. Menzogne che, come occidentali, continuiamo a raccontarci nonostante la ex Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq.
Vogliamo, in quanto Ambulatorio, mandare la nostra solidarietà a chi in questo momento — dottor*, infermier*, operator* sanitar*, soccorritor* — sta facendo il possibile dentro quell’inferno. Vorremmo poter fare di più, o meglio, vorremmo poter fare qualcosa, mentre ci sentiamo schiacciate e schiacciati a terra dall’impotenza. Così come mandiamo la nostra solidarietà a chi rimane per documentare, a chi fugge, a chi  diserta, a chi si nasconde, a chi ha perso tutto, a partire dai propri cari.
Vogliamo disertare questo Occidente di diritti a casa nostra e di guerre a casa degli altri. Vogliamo disertare la retorica, già visibile nel conflitto tra Ucraina e Russia, per cui o siamo con l’Occidente, o siamo col “terrore”.
Noi rimarremo sempre dalla parte di chi resiste e di chi non si riconosce in un mondo di guerre.
In attesa di trasformare l’orrore, l’impotenza e il dolore in rabbia e lotta.
Free Palestine! Cease fire now!

Cosa si nasconde dietro il “ritorno volontario”

Segnaliamo questo articolo dal sito di Nicoletta Poidimani, che a sua volta riporta la traduzione di un testo di All African Women’s Group, che sta circolando in forma di appello.

Ne riportiamo alcuni passaggi, e segnaliamo che chi volesse sottoscrivere questo appello può farlo scrivendo alla mail aawg02@gmail.com.

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Solidarietà al collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud

In seguito ai fatti qui riportati, ci uniamo a tutte le realtà che hanno già espresso la loro solidarietà al collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, e ai due compagni sotto processo.

Molto ci lega ai compagni e alle compagne del collettivo Artaud: difficile riassumerlo in poche righe di comunicato.

Quello che qui ribadiamo è che il lavoro decennale, instancabile del collettivo Artaud è stato – ed è tutt’ora – per noi più di uno stimolo alla riflessione: è uno sguardo indispensabile che scava sotto l’apparente neutralità delle istituzioni mediche e psichiatriche, è un posizionamento quotidiano, concreto e politico.

Sempre al vostro fianco, con tutta la solidarietà, la stima e l’affetto che ci legano a voi

Un abbraccio collettivo

Ambulatorio Medico Popolare

Profughi abbandonati a Rogoredo: report di una giornata di lotta per i diritti

Un breve report della giornata a Rogoredo di martedì 10 giugno, quando circa cinquanta migranti sono arrivati alla stazione nell’ignoranza e nello sconcerto della prefettura milanese.

Tutto inizia da un passaparola: un compagno, passando da Rogoredo, vede un gruppo di migranti sul marciapiede davanti alla stazione e ci contatta. Noi arriviamo verso l’una.

La situazione che ci si presenta è sconcertante: una cinquantina di persone accasciate al suolo senza scarpe, con vestiti sporchi e stracciati e in visibile stato di malessere generalizzato. Compriamo acqua e cibo, e cominciamo a parlare con loro per capire chi sono e da dove vengono.

Sono tutti uomini, giovani, vengono principalmente dall’Africa Subsahariana, Gambia, Mali, Nigeria, Ghana, Sudan, Senegal e uno dal Bangladesh. Sono arrivati il 9 giugno a Taranto, con uno dei mille sbarchi, tra questi c’erano anche una decina di ragazzi che venivano da una delle barche naufragate, dove avevano visto morire donne, bambini e parenti.

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