La riforma del gestore

Dal 2018, Regione Lombardia ha varato la riforma del “Gestore”, che ha introdotto significativi cambiamenti nella gestione dei malati cronici (circa 3’500’000 in Lombardia) con lo scopo dichiarato di semplificare l’accesso alle cure per queste persone.

Sono stati individuati diversi set assistenziali a seconda del livello di “complessità” del paziente. Parliamo di tre livelli, in base al numero delle patologie croniche: un primo livello, per chi ha una cronicità principale e almeno altre tre comorbidità; un secondo livello, con una o due comorbidità; un terzo livello, per chi ha una sola comorbidità in fase iniziale.

In base al livello, viene proposto dal gestore un PAI (Piano Assistenziale Individualizzato) redatto da un clinical manager (!) che organizza tutti i servizi sanitari e sociosanitari necessari a rispondere alle necessità della persona, programmando prestazioni ed interventi di cura specifici, prescrivendo le cure farmacologiche più appropriate e alleggerendo – in teoria – il paziente dall’onere di prenotare visite ed esami per la sua/le sue patologie croniche.

Un’operazione dagli obiettivi apparentemente nobili ma naturalmente colmo di insidie e di facili assist per il passaggio di risorse da pubblico a privato, criticità che riassumiamo in brevi punti.

  • Chi è il gestore? È un ente giuridico, non un medico. Può essere una cooperativa di medici di base, un ospedale pubblico, un gruppo ospedaliero privato, una RSA, ma anche una finanziaria: insomma qualsiasi ente che sia stato giudicato idoneo dall’agenzia territoriale a tutela della salute a garantire le prestazioni per i PAI. Il gestore, per assicurare la garanzia erogativa delle prestazioni, può avvalersi di altri soggetti erogatori già contrattualizzati o strutture accreditate non contrattualizzate e che, esclusivamente per le prestazioni di cui il gestore si avvale, stipuleranno un cosiddetto contratto di scopo (senza i vincoli contrattuali del pubblico, quindi con ampi spazi ai privati).
  • Budget. Ogni anno la regione stabilisce un budget pro-paziente relativo ad ogni cronicità; se il gestore spende per quella persona meno rispetto a quello calcolato, ottiene un premio in denaro. Questo meccanismo favorisce intuitivamente una sollecitazione a risparmiare, per poi incassare a scapito della salute delle persone.
  • Erogatore. Ogni gestore si avvale dei propri erogatori che sono generalmente rappresentati dalle strutture stesse (ad esempio, il gestore Policlinico di Milano è anche erogatore), ma che spesso non sono sufficienti; per questo devono, come già detto, appoggiarsi su altre strutture private. Il paziente, per svolgere gli esami e le cure, deve obbligatoriamente avvalersi delle strutture imposte dal gestore, con il rischio concreto – per esempio – di perdere il rapporto longevo con il proprio specialista, di doversi recare in posti lontani dalla residenza o di dover pagare privatamente prestazioni che non sono previste nel proprio PAI, ma che sono indicate come utili dal clinical manager.
  • Pratica clinica. Vi è una eccessiva burocrazia che viene affidata ai già oberati medici ospedalieri (clinical manager) che si ritrovano a dover gestire, oltre alla quotidiana attività in corsia, persone con più patologie croniche, che spesso esulano dal proprio campo di specializzazione. Questo può portare a un disorientamento per le persone che, da sole, devono comprendere che se hanno un problema legato alla patologia cronica devono rivolgersi al gestore, mentre per un’acuzia devono continuare a rivolgersi al proprio medico curante. Tutto ciò si traduce in accessi inappropriati in pronto soccorso, nei reparti, e contatti telefonici anche personali dei clinical manager mentre si sta eseguendo l’attività ospedaliera.
  • Risparmio. Non è chiaro come questa riforma possa essere fonte di risparmio, alla luce del fatto – per esempio – che i Medici di Medicina Generale (MMG), per meno lavoro, continuano ad essere pagati uguale, le figure dei cosiddetti medici “PAIsti” non esistono, e spesso vengono assunti medici solo per questa mansione invece di contribuire all’attività del reparto. Di certo è un risparmio sulla qualità delle cure date alle persone.

Secondo i dati dei primi mesi di sperimentazione, il progetto non sta prendendo quota per scarsa adesione dei pazienti e dei medici di base, ma è in atto da parte della Regione una campagna finanziaria per implementare i numeri, offrendo compensi a chi arruola i pazienti, a discapito di risorse per assunzioni di personale nel pubblico per salvare il Servizio Sanitario Nazionale.