Grecia – Naufragio Farmakonisi. La Guardia Costiera ha ucciso 12 migranti

Dal sito meltingpot.org.

Secondo l’Unhcr i testimoni accusano la Guardia Costiera greca di aver affogato alcuni migranti vicino l’isola di Famakonisi

Si ringrazia Atenecalling.org per la segnalazione e la traduzione da x-pressed

Secondo l’annuncio dell’UNHCR: “i testimoni sopravvissuti raccontano che la nave della Guardia Costiera stava trainando una barca piena di migranti a grande velocità verso le coste della Turchia, quando è accaduto il tragico incidente in mezzo al mare agitato. Gli stessi testimoni hanno detto che la gente gridava chiedendo aiuto, visto che nella barca c’erano molti bambini”.

Le organizzazioni internazionali hanno condannato diverse volte la pratica delle autorità greche per obbligare i migranti a tornare in Turchia.

L’UNHCR ha chiesto spiegazioni alle autorità greche sulla “sparizione” misteriosa di decine di migranti per colpa della polizia greca, su casi che hanno causato proteste internazionali contro il governo greco. In altri casi, i residenti delle isole periferiche hanno riferito che i migranti che dovevano essere trasferiti nei centri di accoglienza dei porti non sono mai arrivati.

Il comunicato dell’UNHCR
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è costernato per il naufragio di un’imbarcazione a largo delle coste greche nelle prime ore di ieri, che è costato la vita ad una donna e a un bambino. Sono ancora 10 le persone scomparse, tra loro bambini e ragazzi.

In base alle informazioni ricevute da alcuni dei 16 sopravvissuti e dalla Guardia Costiera Greca, l’imbarcazione aveva a bordo 26 afghani e 2 siriani ed è stata intercettata nel Mar Egeo del sud poco dopo mezzanotte a seguito di un guasto meccanico, apparentemente diretta dalla Turchia alla Grecia. La barca, con tutte le 28 persone ancora a bordo, si è capovolta mentre veniva scortata da un vessillo della Guardia Costiera. I sopravvissuti, che ora si trovano nell’isola di Leros, hanno riferito all’UNHCR che al momento del naufragio, l’imbarcazione era scortata verso la Turchia.

“L’UNHCR esorta le autorità a indagare su questo incidente e sul motivo per cui queste vite siano state perse su un’imbarcazione che già era a rimorchio”, ha dichiarato Laurens Jolles, Delegato UNHCR per il Sud Europa. “Inoltre i sopravvissuti devono essere rapidamente trasferiti in altre località, così da poter rispondere in maniera più adeguata alle loro necessità.”

Quello di martedì è il primo incidente di questo genere nel 2014, e l’ultimo di una lunga serie di tragedie nel Mediterraneo, che coinvolgono persone in fuga via mare verso l’Europa. Il 3 ottobre 2013, in Italia, più di 360 persone sono morte in un naufragio a largo dell’isola di Lampedusa. A questo sono seguiti diversi altri incidenti mortali nelle settimane successive.

Le traversate irregolari del mar Mediterraneo generalmente coinvolgono flussi migratori misti di migranti e richiedenti asilo, tuttavia, a causa dei conflitti in Siria e nel Corno d’Africa è stato registrato un aumento delle morti di persone in fuga da guerre e dalle persecuzioni.

Nel 2013, circa 40.000 persone sono arrivate irregolarmente in Italia, Malta e Grecia via mare. Nel 2011, durante la crisi in Libia, gli arrivi erano stati più di 60.000. Le traversate irregolari del Mediterraneo si verificano in genere tra marzo e ottobre, nei mesi primaverili ed estivi, ma quest’anno stanno proseguendo anche durante l’inverno, nonostante condizioni meteorologiche estreme. Finora, solo in Italia, sono arrivate via mare oltre 1.700 persone.

L’UNHCR ha esortato l’Unione Europea e ad altri governi a collaborare per ridurre il numero di morti di persone che intraprendenono queste pericolose traversate nel Mediterraneo e nelle altre principali frontiere marine del mondo, continuando a rafforzare le operazioni di ricerca e soccorso ma anche attraverso la creazione di canali di migrazione legale alternativi a questi pericolosi movimenti irregolari.

arton18900

 

 

Un agguato in stile mafioso ad un compagno dirigente del S.I. Cobas

 

Ieri pomeriggio il compagno Fabio Zerbini è stato attirato in una specie d’imboscata e pestato a sangue. Con la scusa di un incontro per risarcire i danni di un incidente automobilistico (uno specchietto rotto) avvenuto a fine dicembre, è stato attirato in zona Affori.
Appena sceso dall’auto, è stato assalito a tradimento e pestato a sangue.

Gli aggressori si sono quindi allontanati promettendogli una brutta fine se si occuperà ancora dell’organizzazione delle lotte operaie.

Questo pestaggio è la continuazione della strategia repressiva che combina l’intervento delle forze del disordine, con quelle dell’ordine di mafia, n’drangheta e camorra di cui hanno fatto le spese i nostri militanti sindacali , con minacce, processi, pestaggi, incendi d’auto ecc…

Più lo scontro politico si accentua, più si intrecceranno queste azioni atte ad intimidire la lotta dei lavoratori della logistica, ma solo l’estensione di questa, l’organizzazione di essa e dei COBAS potrà garantire una maggior difesa agli attacchi posti in atto dal padronato e dai loro sgherri, contro i sindacalisti attivi.

Non ci faremo intimidire!

Un caloroso saluto e una pronta guarigione va a Fabio, uno dei nostri compagni più in vista nelle lotte portate avanti tra gli operai della logistica.

Il S.I. COBAS nazionale
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Una risposta adeguata al pestaggio di oggi

A tutte le strutture nazionali, territoriali e di fabbrica
A tutti i solidali con le lotte operaie nella logistica

Il pestaggio da me subito oggi può avere responsabilità dirette difficili da definire ma è, in ultima istanza, una chiara rappresentazione politica della reazione borghese al movimento di lotta che sta attraversando l’intero paese, con al centro i facchini (per lo più immigrati) della logistica e del trasporto

La scia degli episodi di violenza contro il movimento di sciopero che continua ad allargarsi è ormai abbastanza lunga da richiedere una risposta all’altezza della situazione con il chiaro obiettivo non di porvi fine (nessuno di noi si può illudere in questo senso) ma, piuttosto, di non segnare il passo e alzare ulteriormente il contenuto (non stupidamente le sole forme) dello scontro

Illusi quei nemici che pensano che tale movimento di lotta passi per alcuni militanti magari (?) più convinti e abnegati di altri.
Il movimento nasce da condizioni materiali ben precisi, destinati ad approfondirsi per via della crisi del capitalismo che impone uno sfruttamento sempre più intenso della classe operaia.
Attentati e pestaggi dei dirigenti e dei delegati più in vista, minacce e ricatti diffusi nelle fabbriche, licenziamenti e violazioni sistematiche dei diritti, cariche, denunce, fogli di via e arresti da parte degli organi repressivi dello stato, non sono altro che sfaccettature diverse di una verità che viene a galla. Da una parte gli sfruttatori dall’altra gli operai che vanno organizzandosi dal basso
Il conflitto è inevitabile e finalmente lo possiamo dire, l’esito tutt’altro che scontato

Stolti quindi anche coloro (tra i presunti amici) che si accontentano di gridare vendetta o che cascano dal pero e si inorridiscono per la violenza appellandosi alla democrazia e al rispetto delle sue regole. Perchè proprio questa è la democrazia, riflesso diretto, anche se distorto, di un dominio di classe che “qualcuno” ha deciso di sfidare, nella convinzione profonda che, battendosi per i bisogni elementari delle grandi masse, si possono anche raggiungere conquiste immediate, per quanto parziali.

Insomma, poco ci deve importare cercare di scoprire l’autore materiale dell’ennesima violenza anti-operaia di cui si è dovuta nutrire la nostra stessa scelta politico-sindacale in quanto S.I. Cobas
La mano che ha colpito non è cattiva (e a pensarci bene non ha fatto nemmeno un gran danno) ma è piuttosto una rappresentazione evidente del fatto che il padronato (incluso i suoi servi, o sgherri, ovviamente) non trova, al momento, una soluzione praticabile per sottrarsi dal ricatto dell’azione operaia.

Quindi, ancora una volta: che fare?
Al momento la mia proposta è una sola: la convocazione di un attivo pubblico di tutte le strutture del S.I. Cobas e di tutti i solidali con questa battaglia, per sfruttare al meglio l’occasione e rilanciare la lotta attraverso uno sciopero generale da organizzarsi….bene

Data la possibilità che tale incontro, che propongo si tenga Domenica 19 gennaio, alle 11 di mattina, possa vedere una certa partecipazione, propongo inoltre che si svolga al Csa Vittoria (Milano) ed in forma pubblica e nazionale

Aspetto conferme o critiche puntuali

Fabio Zerbini

 

INCONTRO: DOMENICA 19 GENNAIO ALLE 11 DI MATTINA AL CSA VITTORIA

La battaglia dei migranti per dignità e uguaglianza: non lasciamoli soli

dal sito MicroMega articolo di Annamaria Rivera

Siamo un paese smemorato, dove tutto si ripete ciclicamente come se accadesse la prima volta. Dove la memoria e l’esperienza non procedono per addizione ma per sottrazione. Dove lo sdegno per ingiustizie e misfatti pubblici resiste finché i media e qualche personaggio politico vogliono farlo durare.

Forti di tale consapevolezza, questa volta non dovremmo mollare. Ora che l’ondata di proteste, invero neppur’essa inedita, dei reclusi nei lager di Stato – si chiamino Cie, Cara o Cpsa – ha ottenuto una speciale risonanza pubblica, dovremmo resistere fino a ottenere una riforma radicale delle normative che regolano l’immigrazione e l’asilo.

Altrimenti tutto tornerà come prima. I lager ridiventeranno “centri di accoglienza”: così il 21 dicembre l’Ansa e molti quotidiani online, anche autorevoli, definivano il Cie di Ponte Galeria, dando per la prima volta la notizia della “protesta choc”, come dicono loro, delle labbra cucite. Il rischio è che siano presto dimenticati tanto le proteste estreme degli “ospiti” quanto l’atto coraggioso del deputato Khalid Chaouki, auto-reclusosi nel Cpsa di Lampedusa. Qui, ricordiamo, sono tuttora trattenuti diciassette sopravvissuti alla strage del 3 ottobre, che il gesto di Chaouki, pur di grande efficacia politica, non è riuscito a liberare al pari degli altri. I diciassette sono ristretti del tutto illegittimamente, in barba all’art.13 della Costituzione: nessun giudice, infatti, ne ha convalidato la privazione della libertà.

Conviene precisare che non è la prima volta che dei senzavoce si cuciono la bocca in segno di protesta. Di frequente lo fanno i detenuti in carceri “normali”. In Tunisia lo hanno fatto, tra gli altri, i “feriti della rivoluzione”, che i governi di transizione hanno abbandonato al loro destino d’indigenza e privazione di cure sanitarie. Lo hanno fatto nel passato recente altri “ospiti” dei lager di Stato, in Italia come in altri paesi, europei e non. Per esempio, a novembre del 2010, nel Cie di Torino, furono una decina a cucirsi la bocca, preceduti, nel Cie di Bologna, da una trentenne tunisina cui era stato rifiutato l’asilo. Nonostante la pregnanza politica e simbolica di questa forma di protesta, l’unica risposta delle autorità italiane fu un certo numero di deportazioni.

Siamo un paese smemorato, dove perfino gli autori della legge 40 del 6 marzo 1998 sembrano immemori del fatto che fu la loro creatura a inaugurare la detenzione amministrativa. Aprendo così la strada a un crescendo di violazioni della Costituzione, dello stato di diritto, dei diritti umani, della stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: violazioni quasi sempre approvate dal capo dello Stato di turno, compreso l’ultimo.

Siamo il paese dove anche rispettabili politici e rappresentanti di istituzioni, per non dire di buona parte dei giornalisti, ignorano la legislazione sull’immigrazione e quella sull’asilo; e suppongono sia sufficiente qualche ritocco alla Bossi-Fini per “umanizzare” il trattamento discriminatorio, ingiusto e/o crudele inflitto a migranti, profughi e richiedenti asilo. Ignari del fatto che si tratta invece di smantellare non solo i lager di Stato ma anche l’intero impianto che regge norme quasi tutte all’insegna del sorvegliare e punire: perlopiù ispirate dal principio di un diritto differenziato riservato agli “altri”, avarissime nel conferire i diritti di cittadinanza, a cominciare dalla nazionalità italiana e il diritto di voto.

Anche su quest’ultimo versante c’è il rischio che la montagna dell’attuale protagonismo politico di migranti e rifugiati produca solo qualche topolino nato male. Di recente, il ministro della difesa, Mario Mauro, ha avuto l’ardire di proporre “una piccola modifica della Costituzione per dare agli immigrati la possibilità di entrare nelle forze armate” e guadagnare così qualche punto per la concessione della nazionalità italiana. Insomma, se abbiamo capito bene, il ministro ribadisce l’idea di un diritto speciale riservato a una speciale categoria di persone. Abolita, di fatto, la leva obbligatoria da quasi un decennio, si tratterebbe, in sostanza, di reintrodurla solo per gli immigrati: una sorta di reclutamento degli ascari, che andrebbero così a costituire i “battaglioni indigeni”, di funesta memoria coloniale, magari da utilizzare per “missioni di pace” particolarmente difficili.

Non contento di questa bella trovata, nella stessa intervista a Libero Mauro oppone alloius soli, come si dice sbrigativamente, l’oscura nozione dello ius culturae: un concetto (si fa per dire) rubato a Giovanni Sartori, singolare impasto vivente di spocchia accademica, xenofobia smodata, competenza dubbia nel campo delle politiche su asilo e immigrazione.

Abbiamo citato questi spropositi solo per ribadire che occorre sventare il rischio che le proteste di migranti e rifugiati e una certa attenzione pubblica verso il tema dei loro diritti siano presto svuotate e cannibalizzate dalla politica politicista e dai giochi del governo delle intese semi-larghe. Si tratta dunque di alzare il livello della mobilitazione. Della quale una tappa importante sarà di certo l’appuntamento finalizzato a scrivere collettivamente la Carta di Lampedusa. Dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, infatti, movimenti, reti, associazioni delle due sponde del Mediterraneo si ritroveranno nell’isola per elaborare un patto costituente “che metta al primo posto le persone, la loro dignità, i loro desideri, le loro speranze”.

Ma una tappa ancor più rilevante sarebbe quella di una grande manifestazione nazionale, per affermare con vigore che questa volta non permetteremo che tutto ricominci come se niente fosse accaduto.

quando c’era il futuro…

l’Ambulatorio Medico Popolare è lieto di invitarvi alla presentazione di

QUANDO C’ERA IL FUTURO

tracce pedagogiche nella fantascienza

di Daniele Barbieri e Raffaele Mantegazza

MARTEDÌ 26 NOVEMBRE

c/o PianoTerra Via Confalonieri, 3 – Milano (quartiere Isola MM 2 Gioia)

dalle ore 18,30

storie dei futuri possibili
raccontate da Daniele Barbieri
a partire da questo libro

a seguire aperitivo/benefit per l’AMP

 

quandocera

Comunicato Consultoria Autogestita

Quando delle persone sono costrette a salire su una torre, e a restarci nonostante il freddo e le difficoltà, per richiedere quei diritti che dovrebbero essere garantiti ad ogni donna e uomo, perché il paese dove vivono e lavorano nega loro “per legge” la possibilità di una vita dignitosa; quando un medico che fa il proprio lavoro, prestare soccorso a chi ne ha bisogno, viene indagato come se fosse un pericoloso criminale, perché nel paese dove lavora la sanità non dev’essere nient’altro che un business riservato agli amici di chi ci governa; quando ciò che è “legale” non coincide più con ciò che è giusto, allora noi non abbiamo dubbi: queste intimidazioni non possono farci paura, perché sappiamo da che parte stare.
Tutta la nostra solidarietà ad Andrea!

Consultoria Autogestita

Comunicato dell’Ambulatorio Medico Popolare

Milano, 30 Novembre.

 

Dal 5 novembre alcuni immigrati stanno denunciando la sanatoria truffa con cui lo stato ha derubato di 500 euro e dei contributi ogni migrante, in cambio di nessuna risposta oppure della beffa della espulsione al posto di un sacrosanto permesso di soggiorno. Sacrosanto, non ce ne vogliano leghisti e affini, visto che i migranti producono il 10% del prodotto interno lordo.

Logo AMP La protesta estrema, come a Brescia, ha visto 5 persone in cima ad una torre in via Imbonati a Milano in condizioni durissime di freddo e mancanza di cure per oltre 20 giorni. Quando uno dei nostri fratelli si è sentito male il Dott. Crosignani lo ha soccorso e poi portato in ospedale. Incredibile a dirsi, pare corra il rischio di essere addirittura denunciato per un nuovo reato (inventato ad hoc?): “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, moralmente inapplicabile laddove si tutela un sacrosanto diritto umano, come la salute, e il dovere di medico, come il prestare soccorso.

La associazione Ambulatorio Medico Popolare, di cui questo medico è volontario da 16 anni, denuncia l’intollerabile atteggiamento da nazisti delle istituzioni nei confronti dei medici e degli operatori sanitari che esercitano la propria irrinunciabile attività di soccorso e cura. Chiediamo a tutti di far circolare in qualsiasi modo l’indignazione per questo scandaloso tentativo di intimidazione: che siano coperti di vergogna. Noi stiamo e staremo sempre con i medici che non denunciano e con i migranti che protestano.

Ringraziamo, inoltre, Emergency per la solidarietà espressa dopo essere stata citata erroneamente per un bizzarro equivoco della stampa.