Salute e Sanità nel periodo dell’austerity – Seminario sullo stato attuale della Sanità pubblica

Pubblichiamo con piacere questo incontro interessante a cui  organizzato dal Coordinamento Lavoratori e Utenti della Sanità.

INVITO

ARCI Bellezza, Via Bellezza 16 a – Sabato, 15 marzo 2014 ore 9.30
Alle 13,30 un  aperitivo d’augurio
E’ prevista una quota di partecipazione volontaria alle spese di 10€

Svolgimento del seminario

a) Introduzione: Il Coordinamento, per quale Sanità?
di Sergio D’Amia

b) Esposizione e commento della Delibera della Giunta Regionale detta “Delle Regole”
(n. 1185 del 20.12.2013: “Determinazione in ordine alla gestione del servizio socio sanitario regionale per il 2014” (270 pagg.)
a cura di Walter Fossati (esperto di problemi socio sanitari)

 c) La politica della regione Lombardia sulla cronicità e non autosufficienza: Proposte di iniziative e di mobilitazione
(a partire dalla delibera n. 740 del 2013 “Approvazione del programma operativo regionale in materia di gravi e gravissime disabilità di cui al fondo nazionale per le non autosufficienze (anno 2013 e alla DGR 2 agosto 2013, n 590 -)
a cura di Fulvio Aurora (Medicina Democratica)

d) Il corpo delle donne tra pregiudizio e austerità
a cura di Giovanna Raffa e componenti dell’Ambulatorio Medico Popolare

e) La questione dei contratti: tendenze della parte padronale e urgenze della difesa
a cura di Nicola Delussu

Il Coordinamento Lavoratori e Utenti della Sanità è una libera associazione che si propone la difesa della Sanità Pubblica e coordina iniziative di solidarietà con le vertenze e le lotte di lavoratori e utenti.
La sua sede si colloca di volta in volta in concomitanza con le vertenze più significative del momento. In questo periodo è presso l’Ospedale San Carlo di Milano, minacciato di smantellamento o di forte ridimensionamento con grave danno per il pubblico del distretto, dei lavoratori e delle lavoratrici. Per contattare il Coordinamento utilizzare gli indirizzi citati in testa a questo invito.

infocoordinamentosanita@gmail e coordinamentosanita@googlegroups.com

Accesso alle cure come diritto per Tutt*

 

Volantino_AccessoCure_A4web

Oggi in Italia i migranti e le migranti privi di documenti che ne “legittimino” la presenza nel paese vengono esclusi dall’accesso alla tessera sanitaria, e per curarsi possono solo ottenere dalla ASL un codice chiamato S.T.P. (Straniero Temporaneamente Presente).

L’S.T.P. garantisce l’accesso alle cure farmacologiche e specialistiche quando sono urgenti ed essenziali, ma non consente un fondamentale passaggio intermedio, ovvero quello di poter avere il medico di base.

Senza medico di base non si possono avere le prescrizioni per esami, visite, controlli, non si possono tenere sotto controllo le malattie croniche, si devono pagare per intero le prestazioni sanitarie e le terapie.

La posizione della regione Lombardia è chiara quanto inaccettabile: lasciare l’onere di occuparsi dei pazienti senza tessera sanitaria alle associazioni di volontariato che nel frattempo -da sempre- si sono fatte carico del problema.

La manovra politica sottesa è quella di delegare le responsabilità sociali e le spese al privato sociale -più o meno compiacente in questo ruolo- negando a uomini e donne uno dei diritti fondamentali, l’accesso alle cure di prima soglia, e creando di fatto un percorso sanitario separato e di qualità inferiore.

L’’assistenza sanitaria pubblica di base è quindi vincolata al permesso di soggiorno, che dipende quasi sempre dal possesso di un reddito lavorativo.

Il ricatto prodotto dal legame tra lavoro/reddito e diritto umano universale alla salute è criminale, e lo è ancora di più in tempi di precarizzazione, quando, pur di avere un contratto che ti consenta di conservare il permesso di soggiorno, si è costretti ad accettare condizioni al limite della schiavitù.

Questo ricatto per i migranti ha il nome delle leggi Bossi-Fini e Turco-Napolitano.

Ma gli italiani, non si sentano esclusi: il nostro ricatto si chiama tagli alla sanità, aumento dei ticket, ospedali-azienda e chiusura dei servizi sul territorio, si chiama anche riforma del lavoro.

É necessario ricostruire reti sociali e azioni collettive per rompere questo ricatto che riguarda tutt*.

Ambulatorio Medico Popolare

Tentativo di golpe in Venezuela

flag

Comunicato di un nostro compagno dal Venezuela – 21 Febbraio 2014

Il riassunto di quanto sto per raccontare e circostanziare è: il Venezuela sta affrontando un tentativo di colpo di Stato fascista promosso dagli Stati Uniti.

Non c’è nessuna protesta popolare contro il governo: ci sono, invece, squadracce fasciste, ossia piccoli gruppi molto preparati che stanno sabotando i servizi pubblici, come elettricità e trasporti, devastando aree di pubblica utilità, assaltando il canale pubblico (Venezuelana TV), distruggendo ospedali a gestione cubana in varie città del Venezuela. Il tutto camuffandosi da ribelli…

Vediamo di organizzare un discorso.

Cominciamo col dire che ogni accusa di regime autoritario, dittatura, mancanza di democrazia o scarsezza di pluralismo di informazione, è ridicola.

Dal 1999, anno della prima vittoria di Chavez, ci sono state diciannove tornate elettorali, diciotto delle quali vinte dalla sinistra – ossia dalla rivoluzione bolivariana, come dicono qua. Se, invece, guardiamo solo agli ultimi due anni e mezzo, ci sono state quattro elezioni tutte vinte dalla rivoluzione.

Per quanto riguarda l’informazione, l’85% dei media nazionali sono privati, ossia rispondono a interessi dei gruppi industriali, di una borghesia fortemente ostile ad una qualsiasi direzione politica che non mantenga intatti i propri interessi, come era fino al 1999.

So che sui social network, sulla CNN (quindi immagino anche su Repubblica) girano foto di repressione e violenza poliziesca: sono state dimostrate essere foto già pubblicate anni addietro, scattate in altri Paesi, o del Venezuela del vecchio regime, o addirittura foto di compagni feriti nel 2013, fatti passare per attuali fasci sfigurati. Gira anche una foto di una protesta in Catalogna spacciata per una foto attuale nel sud del Paese. Un’altra foto, con uno sbirro in moto con dietro un tizio travisato, invece, è della Colombia di qualche anno fa.

Il ruolo degli Stati Uniti.

Come sempre, la CIA si serve di agenzie di Stato, della USAID, di società alla luce del sole per i propri fini di controllo politico. Nel caso del Venezuela, il motivo per cui questo governo non le sta bene è facile a capirsi: è un Paese “sotto casa loro”, con una riserva petrolifera e di gas naturale enorme, oltre che di oro dell’Amazzonia, che dal 1999 non sta più permettendo loro il saccheggio delle proprie risorse naturali.

Per capire perché, pochi giorni fa, sono stati espulsi dal Venezuela tre diplomatici degli Stati Uniti, basta sapere che questi, oltre a finanziare con fondi molto ingenti gruppi di opposizione particolarmente violenti, avevano anche già fornito i visti per essere accolti negli Stati Uniti una volta finita l’azione violenta pianificata.

Dunque, esistono documenti ufficiali di una riunione tenutasi nel giugno del 2013 in Colombia, vicino al confine venezuelano, in cui parteciparono tre società di “consulenza”, due agenzie colombiane (facenti riferimento ad Alvaro Uribe), e una statunitense (la FTI Consulting). In questa riunione, mettono nero su bianco una strategia per rovesciare il governo rivoluzionario: la prima parte consta nella cosiddetta guerra economica, che vuol dire creare a tavolino la scarsezza di beni di prima necessità, in modo che la gente dica “governo ladro”, “è colpa del Partito Socialista”… Come?

 

  1. Avete presente i bagarini dello stadio? Stessa roba, ossia con l’accaparramento e lo stoccaggio di tonnellate di beni largamente consumati in depositi nascosti o col passaggio di tali beni in Colombia, per poi contrabbandarli in Venezuela a prezzo altissimo. Risultato, la gente impazzisce per trovare un litro di latte, e se lo trova lo paga carissimo. Questo è clamoroso negli Stati di confine con la Colombia, dove si vedono proprio gli scaffali vuoti nei supermercati e le code di gente fuori prima che aprano. Spesso, negli ultimi mesi, l’esercito venezuelano ha trovato depositi nascosti di migliaia di tonnellate di cibo, spesso scaduto. Due giorni fa, vicino a Maracaibo, una squadraccia fascista ha bruciato un camion con tonnellate di carne destinate al consumo della popolazione.
  2. Col padronato delle imprese produttrici di cibo e beni di largo consumo, che volutamente fanno produrre al minimo le loro industrie – a zero no, perché se no il governo ha il diritto di espropriarle. Gli stessi padroni oppositori del governo sono spesso anche proprietari degli stessi supermercati, quindi una birra al supermercato ti costa di più di una birra presa in una drogheria di un quartiere popolare. Sui prezzi, insomma, per mesi hanno fatto il cazzo che volevano. Il governo ha recentemente fissato una legge che pone un tetto massimo di guadagno sui beni in vendita, e – guarda caso – pochi giorni dopo sono esplose le violenze fasciste e le devastazioni, peraltro sempre mirate. Violenza chiaramente fascista, infatti mai si è visto nulla di spontaneo dal basso, né per il popolo, nulla del tipo assalto ad un centro commerciale, né esproprio, né spesa proletaria; queste ultime cose avvenivano invece negli anni Novanta, quando la gente sì che era affamata, non privata delle cose a tavolino. La spesa proletaria la fornisce il governo in alcuni luoghi, dove danno beni di prima necessità a prezzi popolari.

La seconda fase prevede azioni di sabotaggio dei servizi pubblici, sempre per portar la gente a dire che il governo non funziona. Il piano prevede sabotaggi al servizio elettrico, ai trasporti, ai servizi di salute.

In questi giorni, dopo la chiamata dei partiti dell’opposizione a fare casino in piazza, non si sono viste risposte di popolo, ma solo gruppi che sono pagati dal primo all’ultimo per fare assalti a stazioni di metro e autobus, con diversi feriti tra lavoratori ed utenti, per bruciare mezzi e strutture di centrali elettriche, per assaltare ospedali a gestione cubana ed ambulatori gratuiti (le cliniche per i ricchi non le tocca nessuno). In più, la devastazione del territorio urbano di pubblica utilità, un danno economico solo per lo stato e i suoi cittadini.

C’è un’intercettazione telefonica dell’11 febbraio, il giorno precedente ai primi morti in piazza, di una conversazione tra Miami e Caracas, in cui un famoso oppositore criminale rifugiatosi negli Stati Uniti per sottrarsi alla pena, dice a quello in Venezuela che il giorno dopo ci sarebbero stati dei morti in piazza, similmente a quanto avvenne nel 2013 in aprile, il giorno dopo la vittoria elettorale di Maduro.

Un’altra intercettazione telefonica di pochi giorni fa rivela la cifra esorbitante di cui dispongono per pagare cecchini e gruppi di motociclisti per commettere omicidi mirati in momenti di particolare tensione politica – per far esplodere, sostanzialmente, una guerra civile.

Quindi, la terza fase del piano prevede sommo caos, guerra civile, e infine cambio di governo, con un burattino compiacente agli interessi capitalistici tout court, il tutto senza sporcarsi direttamente le mani con un invasione di marines.

Un altro fatto noto è il finanziamento da parte della USAID, già dal 2007, di gruppi fascisti venezuelani, alcuni studenteschi di destra (ricordiamo che gli studenti oppositori del governo sono solo una minoranza, circa il 15%, ma sono molto foraggiati). Il più famoso di questi si chiama Mano Blanca, ed è anche stato invitato anni fa ad un congresso di Azione Giovani, col Berlusca che gli pagava la metà del biglietto aereo.

Non vi è nulla di spontaneo in queste azioni mirate di violenza, è un piano preciso di destabilizzazione del paese. Finora ci sono già stati una decina di morti da arma da fuoco, e circa ottanta feriti. I colpi di pistola hanno colpito persone di qualsiasi parte politica, ci sono evidenze balistiche che mostrano che i colpi sono partiti dall’alto, da case, colpi sparati da cecchini mercenari. L’altro ieri addirittura il colpo che ha ucciso una leader studentesca della destra è partito dello stesso corteo di oppositori al governo.

La componente paramilitare, o meglio l’invasione militare.

Il paramilitarismo colombiano vede nell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe un interprete fondamentale, nel senso che col paramilitarismo ha fatto la sua fortuna politica ed economica, e col paramilitarismo sta provando a spostare gli equilibri in Venezuela, per allargare il suo terreno di controllo economico, ossia in senso di narcotraffico. Che Uribe sia da sempre sostenuto non solo economicamente e politicamente, ma anche a livello di infrastrutture belliche e di intelligence dagli Stati Uniti è noto da parecchi anni, tanto che a sto giro non ha potuto mettere direttamente la sua faccia al governo della Colombia, ma un suo burattino, ovvero Santos.

Ebbene, da diversi anni molti paramilitari sono venuti in Venezuela con intenti contro-rivoluzionari precisi. In alcuni casi, i più clamorosi fatti son stati resi pubblici, tipo nel 2004 quando, camuffati da esercito venezuelano, 153 paramilitari erano pronti a bombardare una trasmissione dove c’era Chavez, e ad assaltare il palazzo del governo ed altre sedi simbolo, il tutto facendo credere che fosse una rivolta tutta interna all’esercito di Chavez. Altre volte vengono sgamati appena passano il confine, ma il più delle volte passano tranquillamente. Questo per dire che questi paramilitari sono palesemente coinvolti nelle azioni più violente ed efferate che si sono viste in queste ultime due settimane – tipo l’assalto con bombe molotov alla casa di un governatore di sinistra di uno stato di confine (il Tachira), o il rogo di decine di mezzi di una compagnia elettrica…

In Tachira, per l’appunto, i paramilitari colombiani stanno costituendo una vera e propria base, per questo il governo ha inviato diversi militari laggiù, dichiarando in quello Stato lo stato d’emergenza.

Ma esistono evidenze anche che questi paramilitari si infiltrano nei quartieri popolari delle grandi città, regalando droga e armi ad alcune bande per destabilizzare i delicati equilibri dei barrios e far aumentare di brutto la criminalità, macro e micro. A questo proposito, qualche anno fa, le FARC inviarono a Chavez una lista con nomi e cognomi di paramilitari colombiani e il luogo in Venezuela dove stavano operando.

Le università.

In Venezuela, fino al 1999, esisteva solo l’università per le élite. Poi, poco a poco, sono state aperte molte nuove università, aperte nuove facoltà, tolti i numeri chiusi. Il tutto gratuito e per il numero maggiore di gente possibile. Molti rettori ed alcune università, tuttavia, sono ancora connotate in parte da un una storica avversità per gli strati meno abbienti, se non in opposizione aperta al governo. Si spiega pertanto come mai nelle ultime due settimane alcuni rettori abbiano deciso di chiudere temporaneamente le lezioni, solidarizzando di fatto con il tentativo in atto di colpo di stato.

Quindi, diciamo che una minoranza di studenti, quelli che all’università ci sono sempre potuti andare, son di destra e sognano di vivere a Miami o in Europa, per poter comprare ogni bene firmato, dai prodotti Apple, alle borse Louis Vuitton, ai prezzi non da importazione a cui li trovano qua.

Questi stessi studenti, quando il 12 febbraio l’opposizione convoca un corteo, in cui in tutto comunque erano poche migliaia di persone, non c’entrano con i gruppetti organizzati di decine di persone che si staccano alla fine del corteo caricando la polizia con molotov e sassi in direzione del palazzo del governo.

La polizia locale.

Perché in alcuni sottomunicipi di Caracas e nella città di Merida le violenze sono continue, gruppetti di fa(s)cinorosi continuano imperterriti a bloccare strade, bruciare gomme ed assaltare stazioni metro e sedi della TV pubblica? Perché questi corpi di polizia sono agli ordini dei sindaci locali, a loro volta dell’opposizione, che non danno ordine di intervenire, non che da altre parti reprimano, ma per lo meno non ci sono più queste azioni, anzi i sindaci si adoprano già alla ricostruzione di piazze e parchi.

Insomma, il copione assomiglia molto al 2002, e ad altri tentativi di golpe falliti di questi anni, in cui gli Stati Uniti e il capitalismo venezuelano sono stati sconfitti. Abbiamo motivi per pensare che questi tentativi fascisti continuino a fallire.

da Frengo – attualmente in Venezuela.

 

VENEZUELA, FEBBRAIO 2014: MA CHE STA SUCCEDENDO ?

Condividiamo l’analisi di Angelo Zaccaria, autore del libro “La Revolucion Bonita. Viaggio a tappe nel Venezuela di Hugo Chavez”- ed. Colibrì- Milano. (25 Febbraio 2014).

IL CONTESTO

Quasi un anno dopo l’elezione del successore di Hugo Chavez, la situazione economica continua a registrare squilibri notevoli: alta inflazione, mercato nero parallelo della moneta in un paese dove vige il controllo governativo dei cambi, scarsità di alimenti e beni di prima necessità, insufficiente produzione di beni di largo consumo; persistenza di un modello economico ancora incentrato sulla esportazione del petrolio.

A questo si aggiungano gli alti livelli di violenza esistenti nel paese dove, a seconda delle stime del governo o di centri studi vicini all’opposizione, si registrano fra i 40 e gli 80 omicidi all’anno ogni 100.000 abitanti, il che fa un totale fra i 12.000 ed i 24.000 omicidi all’anno.

Difficile negare in tutto questo, dopo 15 anni di governo chavista ed in un paese dove lo stato maneggia grandissime risorse finanziarie, precise responsabilità del blocco di potere bolivariano: insufficiente battaglia contro la corruzione interna agli apparati statali, inefficienze e carenze di coordinamento nelle politiche economiche del governo, oscillazione perenne fra il radicalismo roboante della propaganda ufficiale e gli appelli retorici e para-religiosi alla conciliazione e collaborazione con l’impresa nazionale e con la parte “patriottica” dell’opposizione.

Ma è anche difficile negare l’esistenza di un progetto pianificato di poteri economici e finanziari legati all’antichavismo, desiderosi di dimostrare l’incapacità del governo di far funzionare l’economia. Basti pensare alle chiare responsabilità della media e grande impresa commerciale privata speculativa, nell’accaparramento e quindi nella creazione di scarsità e forti aumenti dei prezzi dei generi alimentari e di prima necessità. O al grave problema del contrabbando verso la Colombia del 30/40% di generi di largo consumo destinati dal governo alla vendita al pubblico a prezzi ribassati. Evidenti anche le responsabilità di settori del mondo industriale e finanziario privato, con la complicità dei funzionari corrotti dentro gli apparati statali, nell’appropriazione indebita di parte delle riserve di moneta forte derivante dai proventi del petrolio, e nell’alimentazione di un mercato parallelo ed illegale dei cambi. Da citare anche i frequenti e misteriosi sabotaggi al sistema elettrico.

Si tratta di strategie non nuove in America Latina: si pensi al boicottaggio e sabotaggio economico messo in atto in Cile nei primi anni ’70, per indebolire il governo di Unidad Popular di Salvador Allende e propiziare il colpo di stato di Pinochet.

 

I FATTI

Tutto comincia a inizio Febbraio, nei due stati Andini di  Merida e Tachira, con alcune manifestazioni studentesche che responsabilizzano il Governo di Nicolas Maduro per i problemi economici e per quello dell’aumento della violenza, e ne chiedono le dimissioni. Sin dall’inizio al fattore di piazza, cioè alle manifestazioni con blocchi stradali, incendio di pneumatici, autobus e lancio di bottiglie molotov, si somma l’entrata in campo di fattori che operano secondo tecniche di tipo paramilitare: nello stato Tachira viene assaltata la casa del governatore chavista dello stato. Inutile rievocare l’importanza del paramilitarismo nella vicenda politica della vicina Colombia, copiosamente utilizzato insieme agli apparati repressivi statali, contro le opposizioni di sinistra ed i movimenti popolari.

L’ulteriore escalation delle violenze si verifica a Caracas nella giornata del 12 Febbraio, dove un corteo di studenti antichavisti convocato per protestare contro gli arresti seguiti ai fatti di Merida e Tachira, si conclude con scontri e gravi danneggiamenti nel centro della città e nella zona del Tribunale Supremo. Ci sono anche due morti, di opposte tendenze politiche, colpite dalla stessa arma da fuoco maneggiata da ignoti, ma comunque non dai reparti di polizia anti-sommossa operanti in piazza.

A questo punto la situazione si confonde ulteriormente. Da un lato il governo ed i movimenti di base e sindacali bolivariani denunciano (insieme a vari governi ed a quasi tutta la sinistra latinoamericana), il tentativo golpista di destra in atto contro il presidente Maduro, ed iniziano ad organizzare manifestazioni pacifiche a sostegno e per il rilancio del processo bolivariano.

Dall’altro lato da parte dell’opposizione antichavista prosegue in tutto il paese una serie di manifestazioni, grandi e piccole, studentesche e non, dove il vero obiettivo non è più la questione dell’economia o della criminalità, ma la defenestrazione del presidente Nicolas Maduro. Spesso questi presidi e cortei si concludono con blocchi stradali, incendi e danneggiamenti agli arredi urbani e ad edifici pubblici, incendi di stazioni della Metro e di camion carichi di alimenti, quasi sempre messi in atto da piccoli gruppi ed all’interno dei quartieri di classe media ed alta.

In tutte queste vicende aumenta il numero di vittime, assassinate nelle circostanze più varie: a ridosso di manifestazioni di piazza, ferite gravemente da cavi di metallo o filo spinato stesi in mezzo alla strada durante i presidi, durante attacchi a cooperative o centri di sviluppo economico appoggiati dal governo, o in altre circostanze ancora non legate direttamente a fattori o eventi politici. Parte delle vittime appartengono al campo bolivariano, parte no. Spesso gli assassini sparano da finestre di edifici limitrofi, o compaiono e scompaiono a bordo di moto di grossa cilindrata e dotati di casco integrale. Allo stato attuale queste vittime sono circa una dozzina in tutto il paese, ed i feriti parecchie decine.

Non tutto è chiaro in questo momento, ma ciò che è chiaro è che la maggior parte delle vittime, non cadono per mano dei reparti di polizia dipendenti dal governo e operanti in piazza. Questo non vuol dire che alcune vittime non siano dovute anche direttamente o indirettamente all’azione poliziesca. Ma ricordiamoci che siamo in Venezuela, un paese dove sino all’arrivo di Chavez al potere, la polizia, antisommossa e non,  vantava una tradizione antipopolare di violenza sanguinaria e stragista, che provocò migliaia di morti, prigionieri politici, scomparsi, torturati.

Nel complesso appare sempre più nitido l’operare sul campo dei due fattori, guerriglia di piazza e piccoli nuclei di tipo paramilitare, entrambi uniti di fatto nell’obiettivo di far degenerare la situazione e certificare lo stato di caos ed ingovernabilità del paese.

 

A CHI GIOVA ??????????

Il governo di Nicolas Maduro, è appena uscito dalla sofferta transizione seguita alla morte dell’amato presidente Hugo Chavez, ed è reduce da un ciclo di nuove vittorie elettorali, di stretta misura quella alle presidenziali dell’ Aprile 2013, più marcata quella alle elezioni comunali di Dicembre. Un governo che si apprestava ad utilizzare il nuovo periodo che si apre, finalmente sgombro sino a Dicembre 2015 da nuovi impegni elettorali, per tentare di affrontare le varie emergenze economiche e sociali che affliggono il paese.

IL GOVERNO DI NICOLAS MADURO è PERTANTO L’ULTIMO AD AVERE INTERESSE AD INNESCARE UN PERIODO DI DESTABILIZZAZIONE, SCONTRI E VIOLENZE.

Ma forse è proprio qui il vero nodo: per quasi due anni in Venezuela non si vota, e quindi un settore dell’opposizione tenta la carta del caos e della violenza, di piazza e non, per indebolire il governo, tentare di saldare l’opposizione militante di settori giovanili e studenteschi al malcontento di settori popolari per la situazione economica, spostare a proprio vantaggio la posizione di fattori interni alle forze armate o dei governi che contano nella regione (Brasile in primis), provocare per via non elettorale la caduta del governo chavista. Sul piatto, inutile ricordarlo, le enormi ricchezze energetiche e naturali del paese.

E siccome il piatto è davvero ricco, non si esita a giocare sporco, e quindi fra un blocco stradale ed un paio di copertoni bruciati, compaiono i killers in moto col casco integrale o quelli che sparano dai palazzi, ammazzando sia chavisti che oppositori. Ma noi che viviamo in Italia, l’Italia della strage di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia, di Portella delle Ginestre e di Peppino Impastato, questi giochi sporchi purtroppo li conosciamo bene.

Sembra che questa strategia di tipo golpista appartenga per ora solo ad un settore dell’opposizione venezuelana, quella più rabbiosa ed oltranzista del partito di Voluntad Popular capeggiato dal da poco arrestato Leopoldo Lopez, mentre l’ala maggioritaria rappresentata da Capriles Radonski, quello che alle elezioni presidenziali del 2013 ha perso ma raccogliendo oltre 7.300.000 voti, continua a ripetere che “non è questa la strada” per uscire dal chavismo. Il tempo dirà se si tratta di vera divergenza o come io credo di divergenza provvisoria o forse addirittura di un gioco delle parti, soprattutto se, cosa che non mi auguro, la situazione dovesse aggravarsi.

 

LA LIBERA STAMPA, SEMPRE PIU’ STRABICA.

Ancora una volta abbiamo assistito ad un saggio di faziosità militante da parte dei mezzi di comunicazione globali sulle recenti vicende venezuelane. I media, sia stampati che radio-tv ed on line, hanno chiaramente giocato a sollevare il polverone e la confusione, con l’unico obiettivo di strumentalizzare per l’ennesima volta il sacrosanto tema dei diritti umani e delle libertà di espressione, per mettere in cattiva luce il governo di Maduro, la cui colpa vera è solo quella di tentare di rappresentare una alternativa o un punto di vista indipendente, in una geopolitica globale dominata dagli interessi delle grandi oligarchie economiche e finanziarie, degli USA e dei loro alleati europei e non.

Anche qui il gioco è stato davvero sporco: completamente rimosse le violenze di piazza dei gruppi giovanili anti-chavisti, presentati come paladini della libertà ma che per molto molto meno alle nostre latitudini verrebbero etichettati come  pericolosi black-block. Accollate arbitrariamente alla polizia bolivariana tutte le vittime di questi giorni. Totalmente rimosse le responsabilità di settori del potere economico e finanziario privato venezuelano, nel giocare allo sfascio economico del paese. Su vari siti on-line ci si è anche dilettati nell’utilizzo di foto terrificanti di repressione di piazza in Egitto, Catalogna o Turchia, o di immagini splatter della guerra civile siriana, disinvoltamente proposte al pubblico come prove delle efferate violenze repressive messe in atto dal governo chavista.

In questo scenario la stampa italiana si è distinta, non certo per la capacità di adottare un taglio più obiettivo ed equilibrato, ma semplicemente per una maggiore distrazione rispetto al tema, in confronto ai grandi mezzi di comunicazione dell’America Latina, degli USA o della Spagna. Anche qui però la poca informazione filtrata è stata contrassegnata da manipolazione, superficialità ed approssimazione, o dai soliti titoli tendenziosi e ad effetto, e talvolta nemmeno corrispondenti all’effettivo contenuto dell’articolo.

MAI PIU’ CIE! 15 febbraio manifestazione a Roma

Condividiamo da infoaut.org un comunicato da parte delle
Reti antirazziste Movimenti per il diritto all’abitare.

Mai più CIE – Diritti e accoglienza per tutti Sabato 15 febbraio 2014 corteo al Centro d’Identificazione ed Espulsione di Roma-Ponte Galeria.

 

Dopo le mobilitazioni dell’autunno per casa e reddito, la Roma Meticcia è tornata in piazza il 18 dicembre. Un corteo numeroso e determinato ha attraversato le strade della capitale nella “giornata internazionale dei migranti” per chiedere una legge organica che garantisca il diritto d’asilo, la chiusura dei CIE, un’accoglienza dignitosa contro il business delle cooperative a partire dal diritto all’abitare e l’abrogazione di tutti i provvedimenti legislativi in materia di immigrazione che minano la libertà e il diritto di scelta delle persone a muoversi e risiedere dove meglio credono. La mobilità transnazionale dei migranti sfida infatti le politiche neoliberali di austerity e confinamento, ponendo il tema della costruzione di un nuovo modello sociale, di una diversa modalità di vita in comune, che forza gli angusti confini degli stati nazionali ed al tempo stesso le retoriche bipartisan dell’accoglienza e del multiculturalismo. Mentre da piazza del Popolo qualche “forcone” rivendicava una “soluzione italiana” alla crisi, noi affermavamo con determinazione che “le lotte contro l’austerità non hanno frontiere”. Pochi giorni dopo in diversi nodi decisivi del sistema di governo dei flussi migratori esplodevano proteste auto-organizzate. A Mineo, nel CARA più grande d’Italia, i richiedenti asilo riprendevano la mobilitazione contro le condizioni di vita indegne e i tempi di attesa infiniti. A Lampedusa, i migranti intrappolati sull’isola e trattati come animali nel Centro di Prima Accoglienza chiedevano dignità e il trasferimento immediato. A Ponte Galeria, numerosi reclusi si cucivano la bocca e iniziavano uno sciopero della fame contro una detenzione ingiusta e illegittima e per la liberazione di tutti i migranti imprigionati nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Anche nel dibattito politico le questioni connesse con le migrazioni e con il carattere meticcio della nostra società sono all’ordine del giorno dall’inizio dell’autunno appena trascorso. Da una parte, la Lega Nord e le formazioni neofasciste continuano a usare il colore della pelle di un ministro per promuovere una campagna razzista e dare visibilità alle posizioni anti-immigrati. Dall’altra, dopo ogni nuova strage in mare o “scandalo” sulla gestione dei CIE, i partiti di governo si lanciano in false dichiarazioni d’intenti, senza avere in realtà intenzione di modificare le politiche di controllo dell’immigrazione, se non in senso peggiorativo o per operazioni di facciata. La questione del reato di clandestinità e l’emendamento ipocrita appena approvato al Senato sulla materia ne sono l’ultima dimostrazione. In questo contesto, crediamo necessario mobilitarci per rivendicare dal basso una radicale trasformazione delle leggi che governano la vita di migliaia di cittadini migranti. In continuità con le proteste degli ultimi mesi dentro e fuori i CIE, chiediamo l’immediata chiusura di questi lager, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato, dove i diritti fondamentali vengono calpestati quotidianamente. I CIE costituiscono uno degli ingranaggi del sistema di governo dei flussi migratori, che rende la popolazione migrante illegale e ricattabile, ai fini dello sfruttamento nel/del lavoro e nella/della vita e della collocazione in un ruolo subalterno nella società. I CIE hanno un costo umano e un costo economico – di soldi pubblici – che non abbiamo più intenzione di pagare. Al momento, oltre la metà dei CIE italiani sono stati chiusi grazie alle rivolte e alle proteste che li hanno interessati. È arrivato il momento di chiudere anche Ponte Galeria! Proprio oggi i cittadini migranti detenuti in quel luogo si sono cuciti nuovamente la bocca, ricominciando lo sciopero della fame: perché le promesse fatte dai rappresentanti delle istituzioni dopo la protesta di dicembre non sono state mantenute, perché i CIE non si possono riformare ma vanno chiusi per sempre. Vogliamo sostenere questa mobilitazione, aprendo una campagna condivisa e includente per mettere fine all’orrore di Ponte Galeria. Vogliamo farlo con i migranti auto-organizzati delle occupazioni, i movimenti per il diritto all’abitare, le reti e le associazioni anti-razziste, le comunità straniere e tutti coloro che credono che non debba esserci alcuno spazio per i CIE e per le leggi discriminatorie. Vogliamo avviare questa campagna nel mese di febbraio, anche verso un 1 marzo di mobilitazione meticcia che non lasceremo alle passerelle dei politici, recuperandone il significato originario della partecipazione e della pratica dei diritti messa in atto dai migranti.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare a un’assemblea pubblica mercoledì 5 febbraio alle ore 17.00 al Nuovo Cinema Palazzo, per discutere insieme della campagna che ci porterà il 15 febbraio in corteo a Ponte Galeria per dire “mai più CIE” e “diritti e accoglienza x tutti”.

Reti antirazziste Movimenti per il diritto all’abitare