Partecipa al progetto!

In questi quindici anni abbiamo continuamente cercato di fare dell’AMP un luogo in cui la visita medica abbia un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione, un tentativo di unire il concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, inaccessibile per i poveri ma a misura di ricchi e di assicurazioni private.

Siamo ben consapevoli dei limiti con cui fino ad ora abbiamo realizzato il progetto iniziale. Ma sappiamo anche quanto rimane attuale la proposta: mantenere vivo uno spazio in cui praticare un’idea differente di diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento sanitario con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. La nostra idea di salute non potrà mai essere slegata da una risposta concreta e da una presenza attiva nelle contraddizioni che la negazione del diritto alla salute comporta, con una proposta politica di trasformazione della società contro la logica del profitto delle politiche neoliberiste.

L’ambulatorio è interessato a collaborazioni professionali ma non solo. Cerchiamo il contributo di tutti coloro che vogliono non far restare invisibili le migliaia di donne, uomini, bambini e bambine che hanno diritto alla assistenza sanitaria, e se la vedono negata; di coloro che sono disposti a discutere il concetto stesso di salute (che non è solo assenza di malattia), che siano disposti a combattere una riforma dell’assistenza sanitaria che sta distruggendo l’attuale organizzazione, certo non perfetta, per sostituirla con un’enorme macchina che macina persone e fabbrica soldi.

Facciamo appello a chiunque voglia apportare un contributo a questa battaglia.

Comunicato Stampa AMP aprile 2009

La mattina del 22 aprile 2009 si vorrebbe chiudere con uno sgombero un percorso iniziato quindici anni fa, una follia in un mondo dove tutto si misura col denaro: un ambulatorio gratuito per garantire il diritto alla salute a chiunque.

L’Ambulatorio Medico Popolare ha la sua sede in alcuni locali della storica casa occupata di via dei Transiti 28 a Milano, spazi che erano stati recuperati fin dal 1990 ad uso sociale, dopo anni di abbandono da parte della proprietà.

In 15 anni di attività oltre 4000 persone hanno usufruito dei servizi dell’AMP, 30 visite mediche gratuite ogni settimana,  grazie all’impegno di quasi un centinaio di persone, medici e non, che dal 1994 si sono alternati a prestare la loro attività volontariamente. Il tutto con una spesa di poche centinaia di euro all’anno, autofinanziate e in totale indipendenza da partiti ed istituzioni.

In particolar modo, l’AMP opera in favore delle troppe persone migranti ancora prive del permesso di soggiorno, e quindi di qualsiasi diritto, aiutandole ad esercitare il diritto di accesso alle prestazioni sanitarie come previsto dalla normativa vigente. Normativa che, negli ultimi tempi, viene ignorata dagli enti sanitari per imporre un pacchetto “sicurezza” xenofobo e violento, ma non ancora legge, che vorrebbe fare del personale medico un manipolo di delatori.

Il nostro percorso tocca anche il diritto delle donne alla autodeterminazione e alla informazione: la Consultoria fornisce alle donne supporto ed aiuto nel prendere le proprie decisioni in modo consapevole e nel conoscere ed esercitare i propri diritti.

Infine, dal 1996 è attivo negli spazi dell’AMP il Telefono Viola, che si occupa di dare supporto alle persone vittime di abusi psichiatrici.

Questo è la associazione ’Ambulatorio Medico Popolare. Questo è quanto non capirà mai il sig. Ciro Bigoni che ha comprato i locali per poche lire nel 2002, solo per fare un buon affare a scapito di una battaglia che rivendica il fondamentale diritto alla salute.

Nel 2004 ha provato a fare chiudere l’AMP promuovendo una prima causa con l’assurda accusa di esercizio abusivo della professione medica, ed ha ovviamente perso.

Ma nel 2008, al termine della causa di sfratto ordinaria, il tribunale di milano condanna l’AMP al rilascio dell’immobile e al pagamento di più di 15.000 euro tra presunti danni e spese legali.

Oltre 1000 euro per ogni anno passato a togliere le castagne dal fuoco ad uno stato imbelle ed ipocrita al punto da non applicare nemmeno le sue stesse leggi, in una regione dove non sono garantiti neppure i diritti fondamentali.
Perché mai la legge del profitto dovrebbe essere l’unica a prevalere?

L’ACCADEMIA DELLO SGOMBERO TORNA IN PIAZZA PER DARE UN’ALTRA LEZIONE

Il 22 aprile 2009 è l’ennesima data fissata per lo sgombero dell’Ambulatorio medico popolare di Milano. Come già il 27 gennaio scorso, anche questa volta abbiamo deciso di rispondere alla minaccia con delle lezioni di piazza durante il presidio antisfratto. E se in occasione della Giornata della Memoria abbiamo parlato di leggi razziali vecchie e nuove, questa volta, in prossimità del 25 aprile, si parlerà di revisionismo-rovescismo-negazionismo, perché pensiamo che la cultura debba fornire una cassetta degli attrezzi per leggere il presente e trasformarlo.

MERCOLEDÌ 22 APRILE DALLE ORE 6 DEL MATTINO
PRESIDIO CON COLAZIONE CONTRO LO SFRATTO DELL’AMBULATORIO MEDICO POPOLARE
DALLE 8.30, LEZIONE DI PIAZZA AI GIARDINETTI DI VIA DEI TRANSITI
Interventi di:
NORI BRAMBILLA, ALDO GIANNULI, LIDIA MARTIN,
RENATO SARTI -TEATRO DELLA COOPERATIVA, ANDREA STAID
Proiezione:
NAZIROCK di Claudio Lazzaro

partigiani e partigiane non si nasce: faticosamente l* si diventa
più cultura, meno paura!

Quando i clandestini eravamo noi e la Romania non voleva gli italiani

A metà del ‘900 non erano gli italiani a considerare i rumeni criminali, ma i rumeni a controllare le dogane per non essere invasi dagli italiani. I nostri connazionali creavano non pochi problemi: violenti, indisciplinati. La loro storia, fatta di stracci e pregiudizi, si è intrecciata con i tentativi italiani di evitare che gli indesiderabili lasciassero i confini nazionali e andassero a creare problemi alla dittatura amica del generale Ion Antonescu.

Cancellati dalla memoria di un Paese, facile a rovesciare i pregiudizi su altri, i problemi dell’emigrazione italiana in Romania escono dalla polvere degli Archivi di Stato grazie alla mostra “Tracce dell’emigrazione parmense e italiana fra il XVI e XX secolo”. Oltre cento documenti, molti gli inediti. Tra questi una lettera con il timbro del ministero dell’Interno (Il documento.tif) inviata il 28 agosto 1942 a tutti i questori del Regno, al ministero degli Affari esteri, al Governo della Dalmazia, alla direzione di polizia di Zara e all’alto commissario di Lubiana. Diramava un ordine preciso: evitare che gli italiani espatriassero in Romania.

Carmine Senise, uno dei partecipanti alla congiura del 25 luglio, l’uomo che propose di fare arrestare Mussolini a Villa Savoia, fu anche il capo della polizia che stigmatizzò il comportamento dei connazionali: “La legazione in Bucarest segnala che alcuni connazionali, giunti in Romania a titolo temporaneo, non lasciano il Paese alla scadenza del loro permesso di soggiorno provocando inconvenienti con le autorità di polizia romene anche per il contegno non sempre esemplare da loro tenuto e per l’attività non completamente chiara dai predetti svolta”. La situazione lo preoccupava non poco: “Stante il crescente afflusso di connazionali in Romania si dispone che le richieste di espatrio colà vengano vagliate con particolare severità per quanto riguarda in special modo la condotta morale o politica degli interessati ed i motivi addotti, inoltrando a questo Ministero, Ufficio Passaporti, soltanto quelle che rivestano carattere di assoluta e inderogabile necessità”.

D’altronde che tra gli emigrati non ci fossero solo lavoratori in cerca dell’America, ma anche avventurieri con pochi scrupoli è storia risaputa e testimoniata, in questa mostra, da altre missive, denunce e lamentele. La più antica è una lettera del console italiano in India che nel 1893 informava la madrepatria come a Bombay tutti coloro che sfruttavano la prostituzione venissero chiamati “italiani”. Un’associazione di idee non certo lusinghiera.

I nostri connazionali, come tutti gli emigranti, non rappresentavano solo un problema di sicurezza, ma anche una risorsa economica, tanto che Mussolini, come testimonia una delle circolari esposte, vietò l’espatrio alla manodopera specializzata. Potevano partire solo operai semplici, braccia che rischiavano di finire nel tritacarne dell’immigrazione clandestina. Che esisteva allora come oggi. La mostra documenta una serie di espatri irregolari avvenuti tra il 1925 e il 1973: gli italiani arrivavano in Francia e in Corsica, ma anche in altri paesi, con permessi turistici e poi si fermavano ben oltre la scadenza, altri entravano con in mano un visto di transito, ma non lasciavano il paese in cui erano solo di passaggio. Altri ancora ottenevano passaporti falsi o raggiungevano l’America tramite biglietti inviati, ufficialmente, da parenti e amici. In realtà, una volta dall’altra parte dell’Oceano, ad attenderli erano agrari che li costringevano a turni di lavoro massacranti perché ripagassero, senza stipendio, il costo di quel viaggio della speranza. Anche questo “racket”, documentato con materiale del 1908 (Ministero degli Esteri pag. 1/2/3.tif), contribuisce all’affresco di un’epoca, non troppo lontana, in cui i rumeni – criminalizzati, non graditi o sfruttati – eravamo noi.

 

I morti che non vi dicono

Non vi dicono quanti sono davvero i morti, perché ci sono morti che non esistevano neanche da vivi.
Centinaia di persone che nessuno cerca, che nessuno vuole salvare, che è meglio nascondere come il sudicio sotto al tappeto.
 
Si ricordano soltanto di romene e romeni, badanti e simili, che avendo le chiavi di casa degli appartamenti delle persone da loro assistite sono imputabili e processabili per direttissima per sciacallaggio. La follia dell’assurdo. Anche nella tragedia non si perde mai l’occasione di dimostrare odio, indifferenza, omertà e di perpretrare atrocità che ormai sembrano fare parte del quotidiano.
 
 
 
 

Polizia deporta gli abitanti di un palazzo di via crespi

Ci si chiede la ragione di tanta violenza, qual è il motivo che spinge le forze dell’ordine di Milano ad andare a sgomberare un palazzo in zona via Padova – viale Monza, dove la presenza di migranti è altissima. Ma ci si chiede anche perché, nella medesima zona, persino il semplice distribuire volantini di informazione sull’attività dell’ambulatorio e sui diritti dei migranti è ritenuto un’attività da monitorare, con camionette e personale in divisa e in borghese.

Forse la paura palpabile e soffocante che si cerca di diffondere è la risposta alla paura che i migranti comincino a lottare per i propri diritti, per il diritto a poter avere una vita.

[Fonte: Comitato Antirazzista di Milano]