solidarietà

Solidarietà a Bobo Aprile e ai disoccupati di Brindisi arrestati il 12 ottobre 2011
Davvero pensano di zittirci in questo modo? Arrestare all’alba diciassette persone ben otto mesi dopo una protesta, per poi scarcerarle nella stessa giornata, rende evidente a chiunque che lo scopo è solo una brutale intimidazione. Contro persone che non si sono arrese alla negazione dei diritti, perchè i diritti si rivendicano e si conquistano. L’Ambulatorio Medico Popolare di Milano sotto sfratto esprime la più completa solidarietà a Bobo Aprile ed a tutti gli altri: non arrendetevi, teneteci al corrente degli sviluppi della vicenda, noi e molti altri non intendiamo lasciarvi soli in questa battaglia.
Perchè i diritti non si sfrattano
Ambulatorio Medico Popolare Milano.

 

Lettera alla Milano del “vento che cambia”

Perche’ mai l’unica legge che prevale sempre debba essere quella del profitto non lo capiremo mai.
Per questo non lo accettiamo, ma non chiediamo trattative o comodati o corsie preferenziali.
Chiediamo di prendere atto di quanto stia pesando nella vita delle persone il criminale cambiamento del sistema sanitario nella nostra regione da “servizio” ad “azienda”. Il che vuol dire, dalla riforma Formigoni del 2001, tanti e tanti soldi ai privati modello Clinica Santa Rita, che fanno affari d’oro, e per vecchi e nuovi italiani ticket onerosi, e chiusura progressiva di servizi di grande impatto sociale, consultori, area dell’handicap e del disagio psico-sociale, aids e tossicodipendenza… per migranti non in regola, si aggiunga l’impossibilità di accedere ai servizi di medicina di base.
Nel nostro quartiere multietnico (non ce ne vogliano i leghisti, è questo il futuro) vediamo anche la paura delle percosse nel corso dei rastrellamenti, paura della lunga prigionia nei CIE, paura dell’espulsione, la rabbia per le truffe in corso di sanatoria, per gli affitti da rapina a posto letto, per comportamenti razzisti e discriminatori in uffici e strutture sanitarie, e soprattutto per l’assoluta ricattabilità nel lavoro: la Bossi Fini non
è una legge sulla immigrazione, è una legge sul mercato del lavoro. Per tutto questo collaboriamo con gli avvocati del Punto San Precario, perchè anche la tutela legale gratuita è un diritto negato.
D’altra parte sappiamo che, se si vuole, si può: all’Ospedale San Paolo un ambulatorio per migranti senza tessera sanitaria, nato anche sotto l’impulso del nostro lavoro, garantisce un servizio importante, peraltro previsto dalla legge, con costi certamente inferiori a quelli richiesti dalle camionette, dagli sgomberi dei campi Rom, dalle retate sugli autobus, e porta le cure essenziali dall’ambito del volontariato a quello, più consono, del sistema sanitario pubblico. L’apertura di altre strutture simili è uno dei nostri obiettivi.
Un altro nostro obiettivo, non sembri strano, è quello di chiudere: lo faremo nel momento in cui a tutti e a tutte venga garantito il diritto alla salute.
A questa nuova giunta non chiediamo nulla per la nostra associazione e per i nostri collettivi ma abbiamo da porre sul tavolo tre richieste politiche:
1) garantire, per quanto compete al comune, i diritti fondamentali per tutti, lavorando per fare in modo che i servizi comunali siano adeguati per tutta la popolazione
2) fare un appello alla regione perchè venga garantita la medicina di base a tutti come già avviene in altre regioni italiane
3) alzare una voce istituzionale contro la vergogna che si ripete giorno dopo giorno nel CIE di Via Corelli dove ogni sorta di sopruso viene praticato su persone rinchiuse fino a 18 mesi solo per mancanza di un pezzo di carta, dove rivolte e pestaggi sono cronaca quotidiana da quando sono stati vietati i cellulari.
Non essendoci le condizioni politiche per chiudere resisteremo ancora una volta, e facciamo appello a tutta la città perchè ci aiuti a proseguire la nostra esperienza e la battaglia per uno stato sociale che garantisca a tutte le persone l’accesso gratuito al Servizio Sanitario e in generale la dignità ad accedere a tutti i diritti fondamentali

 

L’Albertino

A casa nostra c’è una sola parola per definire questa distinzione, e si chiama razzismo: il consigliere comunale Ribolla, nel merito della proposta di benemerenza all’associazione Oikos ha pensato bene di bocciare la proposta per il semplice motivo che “l’associazione Oikos fornisce assistenza sanitaria anche a chi non ha il permesso di soggiorno e i clandestini non devono essere curati”.
Tralasciamo l’affermazione grottesca, ai limiti dell’indecenza e del populismo più triviale che offende i medici e il giuramento di Ippocrate, vorremmo solo chiedere a Ribolla perchè fa tanta fatica a definirsi razzista, evitando di nascondersi dietro a questioni burocratiche (permesso sì o permesso no).
Probabilmente Albertino è cresciuto nel piccolo mondo felice del Mulino Bianco, con il sedere nella bambagia, un mondo di suoi simili figli di papà biondini, carini e padani, dove non c’è spazio per chi è diverso.
Sentiamo il vuoto cerebrale di Ribolla che rimbomba fino a qui, probabilmente il suo carico di ideologia (duri studi sui primi discorsi di Bossi, sulle raffinate riflessioni di Miglio e sui fumetti di Thor) l’ha portato ad aprire la bocca e emettere suoni senza senso, per l’ennesima volta.

 

Comunicato Consultoria Autogestita

Quando delle persone sono costrette a salire su una torre, e a restarci nonostante il freddo e le difficoltà, per richiedere quei diritti che dovrebbero essere garantiti ad ogni donna e uomo, perché il paese dove vivono e lavorano nega loro “per legge” la possibilità di una vita dignitosa; quando un medico che fa il proprio lavoro, prestare soccorso a chi ne ha bisogno, viene indagato come se fosse un pericoloso criminale, perché nel paese dove lavora la sanità non dev’essere nient’altro che un business riservato agli amici di chi ci governa; quando ciò che è “legale” non coincide più con ciò che è giusto, allora noi non abbiamo dubbi: queste intimidazioni non possono farci paura, perché sappiamo da che parte stare.
Tutta la nostra solidarietà ad Andrea!

Consultoria Autogestita

Intervista di mag|zine

negli anni, si è trasformato in centro sociale, condominio e anche clinica per migranti. Striscioni e murales testimoniano i quindici anni di attività. Sandra, co-fondatrice dell’Ambulatorio Medico Popolare, spiega le difficoltà di garantire il diritto alla salute.

Riprese di Giulia Dedionigi e Carlotta Garancini
Montaggio di Giulia Dedionigi e Gregorio Romeo

Comunicato dell’Ambulatorio Medico Popolare

Milano, 30 Novembre.

 

Dal 5 novembre alcuni immigrati stanno denunciando la sanatoria truffa con cui lo stato ha derubato di 500 euro e dei contributi ogni migrante, in cambio di nessuna risposta oppure della beffa della espulsione al posto di un sacrosanto permesso di soggiorno. Sacrosanto, non ce ne vogliano leghisti e affini, visto che i migranti producono il 10% del prodotto interno lordo.

Logo AMP La protesta estrema, come a Brescia, ha visto 5 persone in cima ad una torre in via Imbonati a Milano in condizioni durissime di freddo e mancanza di cure per oltre 20 giorni. Quando uno dei nostri fratelli si è sentito male il Dott. Crosignani lo ha soccorso e poi portato in ospedale. Incredibile a dirsi, pare corra il rischio di essere addirittura denunciato per un nuovo reato (inventato ad hoc?): “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, moralmente inapplicabile laddove si tutela un sacrosanto diritto umano, come la salute, e il dovere di medico, come il prestare soccorso.

La associazione Ambulatorio Medico Popolare, di cui questo medico è volontario da 16 anni, denuncia l’intollerabile atteggiamento da nazisti delle istituzioni nei confronti dei medici e degli operatori sanitari che esercitano la propria irrinunciabile attività di soccorso e cura. Chiediamo a tutti di far circolare in qualsiasi modo l’indignazione per questo scandaloso tentativo di intimidazione: che siano coperti di vergogna. Noi stiamo e staremo sempre con i medici che non denunciano e con i migranti che protestano.

Ringraziamo, inoltre, Emergency per la solidarietà espressa dopo essere stata citata erroneamente per un bizzarro equivoco della stampa.

Il Telefono Viola denuncia i reparti psichiatrici di Milano

Giorgio Pompa, presidente dell’associazione che dal ’96 si batte contro gli abusi della psichiatria”, ha spiegato che nelle prossime ore presenterà un esposto alla Procura di Milano affinché “apra un’inchiesta su questi gravi fatti di tortura”. Immediata la replica del Niguarda: “Non risultano allo stato di fatto elementi a riprova di questi casi”. E nel giugno scorso è stato lo stesso ospedale a trasmettere alla Procura la segnalazione di una paziente “in merito a supposti comportamenti scorretti” che sarebbero avvenuti nel padiglione Grossoni.

Pompa era accompagnato da alcuni volontari dell’associazione e dalla dottoressa Nicoletta Calchi, medico psichiatra dell’ospedale Niguarda, che ha raccontato di essere stata “sospesa per 20 giorni dalla struttura, dopo aver subito anche mobbing, a causa del rapporto umano instaurato con i malati”. A giudizio di Telefono Viola, “i gravissimi abusi della pratica coercitiva” sarebbero avvenuti nei tre reparti Grossoni del Niguarda e farebbero riferimento a sei casi. Fra questi c’è “la vicenda di Tullio C. morto un imprecisato giorno di ottobre di quest’anno, mentre era legato da 14 ore al letto”. E il caso di “Francesco D., morto il 26 settembre 2008 sempre legato al letto”.

All’interno del Grossoni – ha spiegato Pompa – non viene applicata la legge 180″, ovvero la legge Basaglia del ’78, che ha portato alla chiusura dei manicomi. L’associazione contesta anche il protocollo sulle cure psichiatriche del Niguarda che prevede la contenzione. “Questa pratica – ha aggiunto Pompa – è un’inaudita violenza fisica e psicologica che viene portata avanti in alcuni reparti di psichiatria in Italia”. Telefono Viola sostiene che nei reparti Grossoni i pazienti vengono legati e “non vengono controllati per ore, mentre anche il protocollo del Niguarda prevede controlli costanti”. Tullio C., secondo l’associazione, “venne legato al suo letto alle 11 di mattina e dopo 14 ore, alle 2 di notte venne trovato morto”. Nel giugno del 2005, invece, “il marocchino Mohamed M. subì lo spallaccio, ossia venne fissato supino al letto con un lenzuolo e si ritrovò con le braccia paralizzate”.

Rita F., invece, sempre secondo la denuncia, nel marzo del 2006 “venne legata e subì piaghe da decubito e infezioni”, mentre un’altra paziente “all’inizio di quest’anno è rimasta legata per 18 giorni e sei ore”. L’associazione, inoltre, ha spiegato che un esposto per un tentativo di violenza sessuale ai danni di una paziente è già stato presentato alla Procura di Milano. Telefona Viola ha mostrato poi una lettera scritta “a sostegno della dottoressa Calchi e firmata da 116 ex pazienti della struttura e dai loro familiari”.

In una lunga nota firmata dal direttore del Dipartimento di psichiatria, Arcadio Erlicher, e dal direttore sanitario, Carlo Nicora, l’ospedale rimarca che “la pratica della contenzione fisica in psichiatria è un provvedimento applicato in situazioni cliniche estreme unicamente a tutela della sicurezza dei pazienti e degli operatori. E’ presente nella maggior parte dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura italiani e non confligge con specifiche normative”. Inoltre, proseguono i due direttori, al Niguarda le procedure di contenzione “sono regolamentate dal 2006 da apposite linee guida, aggiornate nell’anno in corso coinvolgendo anche le associazioni dei famigliari così come previsto dagli standard internazionali”.

Le linee guida, in particolare, prevedono che la contenzione sia autorizzata formalmente dallo psichiatra e che le persone sottoposte a questo trattamento siano monitorate ogni 15 minuti. L’andamento complessivo di questi monitoraggi, aggiungono i medici, “è periodicamente riferito nelle riunioni del dipartimento Salute mentale con le associazioni di familiari e nell’assemblea del dipartimento, a cui partecipano anche le associazioni”. L’ospedale ha comunque disposto un’ulteriore indagine e “si riserva di agire a tutela dell’onorabilità e professionalità dell’intera équipe del dipartimento Salute mentale”.

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Di seguito riportiamo i documenti rilasciati dal Telefono Viola di Milano:

 

[Fonte: http://milano.repubblica.it/cronaca/2010/11/23/news/milano_la_denuncia_di_telefono_viola_morti_e_abusi_nei_reparti_di_psichiatria-9422309/]