MAI PIU’ CIE! 15 febbraio manifestazione a Roma

Condividiamo da infoaut.org un comunicato da parte delle
Reti antirazziste Movimenti per il diritto all’abitare.

Mai più CIE – Diritti e accoglienza per tutti Sabato 15 febbraio 2014 corteo al Centro d’Identificazione ed Espulsione di Roma-Ponte Galeria.

 

Dopo le mobilitazioni dell’autunno per casa e reddito, la Roma Meticcia è tornata in piazza il 18 dicembre. Un corteo numeroso e determinato ha attraversato le strade della capitale nella “giornata internazionale dei migranti” per chiedere una legge organica che garantisca il diritto d’asilo, la chiusura dei CIE, un’accoglienza dignitosa contro il business delle cooperative a partire dal diritto all’abitare e l’abrogazione di tutti i provvedimenti legislativi in materia di immigrazione che minano la libertà e il diritto di scelta delle persone a muoversi e risiedere dove meglio credono. La mobilità transnazionale dei migranti sfida infatti le politiche neoliberali di austerity e confinamento, ponendo il tema della costruzione di un nuovo modello sociale, di una diversa modalità di vita in comune, che forza gli angusti confini degli stati nazionali ed al tempo stesso le retoriche bipartisan dell’accoglienza e del multiculturalismo. Mentre da piazza del Popolo qualche “forcone” rivendicava una “soluzione italiana” alla crisi, noi affermavamo con determinazione che “le lotte contro l’austerità non hanno frontiere”. Pochi giorni dopo in diversi nodi decisivi del sistema di governo dei flussi migratori esplodevano proteste auto-organizzate. A Mineo, nel CARA più grande d’Italia, i richiedenti asilo riprendevano la mobilitazione contro le condizioni di vita indegne e i tempi di attesa infiniti. A Lampedusa, i migranti intrappolati sull’isola e trattati come animali nel Centro di Prima Accoglienza chiedevano dignità e il trasferimento immediato. A Ponte Galeria, numerosi reclusi si cucivano la bocca e iniziavano uno sciopero della fame contro una detenzione ingiusta e illegittima e per la liberazione di tutti i migranti imprigionati nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Anche nel dibattito politico le questioni connesse con le migrazioni e con il carattere meticcio della nostra società sono all’ordine del giorno dall’inizio dell’autunno appena trascorso. Da una parte, la Lega Nord e le formazioni neofasciste continuano a usare il colore della pelle di un ministro per promuovere una campagna razzista e dare visibilità alle posizioni anti-immigrati. Dall’altra, dopo ogni nuova strage in mare o “scandalo” sulla gestione dei CIE, i partiti di governo si lanciano in false dichiarazioni d’intenti, senza avere in realtà intenzione di modificare le politiche di controllo dell’immigrazione, se non in senso peggiorativo o per operazioni di facciata. La questione del reato di clandestinità e l’emendamento ipocrita appena approvato al Senato sulla materia ne sono l’ultima dimostrazione. In questo contesto, crediamo necessario mobilitarci per rivendicare dal basso una radicale trasformazione delle leggi che governano la vita di migliaia di cittadini migranti. In continuità con le proteste degli ultimi mesi dentro e fuori i CIE, chiediamo l’immediata chiusura di questi lager, dove migliaia di persone vengono detenute senza aver commesso alcun reato, dove i diritti fondamentali vengono calpestati quotidianamente. I CIE costituiscono uno degli ingranaggi del sistema di governo dei flussi migratori, che rende la popolazione migrante illegale e ricattabile, ai fini dello sfruttamento nel/del lavoro e nella/della vita e della collocazione in un ruolo subalterno nella società. I CIE hanno un costo umano e un costo economico – di soldi pubblici – che non abbiamo più intenzione di pagare. Al momento, oltre la metà dei CIE italiani sono stati chiusi grazie alle rivolte e alle proteste che li hanno interessati. È arrivato il momento di chiudere anche Ponte Galeria! Proprio oggi i cittadini migranti detenuti in quel luogo si sono cuciti nuovamente la bocca, ricominciando lo sciopero della fame: perché le promesse fatte dai rappresentanti delle istituzioni dopo la protesta di dicembre non sono state mantenute, perché i CIE non si possono riformare ma vanno chiusi per sempre. Vogliamo sostenere questa mobilitazione, aprendo una campagna condivisa e includente per mettere fine all’orrore di Ponte Galeria. Vogliamo farlo con i migranti auto-organizzati delle occupazioni, i movimenti per il diritto all’abitare, le reti e le associazioni anti-razziste, le comunità straniere e tutti coloro che credono che non debba esserci alcuno spazio per i CIE e per le leggi discriminatorie. Vogliamo avviare questa campagna nel mese di febbraio, anche verso un 1 marzo di mobilitazione meticcia che non lasceremo alle passerelle dei politici, recuperandone il significato originario della partecipazione e della pratica dei diritti messa in atto dai migranti.

Invitiamo tutti e tutte a partecipare a un’assemblea pubblica mercoledì 5 febbraio alle ore 17.00 al Nuovo Cinema Palazzo, per discutere insieme della campagna che ci porterà il 15 febbraio in corteo a Ponte Galeria per dire “mai più CIE” e “diritti e accoglienza x tutti”.

Reti antirazziste Movimenti per il diritto all’abitare

 

Grecia – Naufragio Farmakonisi. La Guardia Costiera ha ucciso 12 migranti

Dal sito meltingpot.org.

Secondo l’Unhcr i testimoni accusano la Guardia Costiera greca di aver affogato alcuni migranti vicino l’isola di Famakonisi

Si ringrazia Atenecalling.org per la segnalazione e la traduzione da x-pressed

Secondo l’annuncio dell’UNHCR: “i testimoni sopravvissuti raccontano che la nave della Guardia Costiera stava trainando una barca piena di migranti a grande velocità verso le coste della Turchia, quando è accaduto il tragico incidente in mezzo al mare agitato. Gli stessi testimoni hanno detto che la gente gridava chiedendo aiuto, visto che nella barca c’erano molti bambini”.

Le organizzazioni internazionali hanno condannato diverse volte la pratica delle autorità greche per obbligare i migranti a tornare in Turchia.

L’UNHCR ha chiesto spiegazioni alle autorità greche sulla “sparizione” misteriosa di decine di migranti per colpa della polizia greca, su casi che hanno causato proteste internazionali contro il governo greco. In altri casi, i residenti delle isole periferiche hanno riferito che i migranti che dovevano essere trasferiti nei centri di accoglienza dei porti non sono mai arrivati.

Il comunicato dell’UNHCR
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) è costernato per il naufragio di un’imbarcazione a largo delle coste greche nelle prime ore di ieri, che è costato la vita ad una donna e a un bambino. Sono ancora 10 le persone scomparse, tra loro bambini e ragazzi.

In base alle informazioni ricevute da alcuni dei 16 sopravvissuti e dalla Guardia Costiera Greca, l’imbarcazione aveva a bordo 26 afghani e 2 siriani ed è stata intercettata nel Mar Egeo del sud poco dopo mezzanotte a seguito di un guasto meccanico, apparentemente diretta dalla Turchia alla Grecia. La barca, con tutte le 28 persone ancora a bordo, si è capovolta mentre veniva scortata da un vessillo della Guardia Costiera. I sopravvissuti, che ora si trovano nell’isola di Leros, hanno riferito all’UNHCR che al momento del naufragio, l’imbarcazione era scortata verso la Turchia.

“L’UNHCR esorta le autorità a indagare su questo incidente e sul motivo per cui queste vite siano state perse su un’imbarcazione che già era a rimorchio”, ha dichiarato Laurens Jolles, Delegato UNHCR per il Sud Europa. “Inoltre i sopravvissuti devono essere rapidamente trasferiti in altre località, così da poter rispondere in maniera più adeguata alle loro necessità.”

Quello di martedì è il primo incidente di questo genere nel 2014, e l’ultimo di una lunga serie di tragedie nel Mediterraneo, che coinvolgono persone in fuga via mare verso l’Europa. Il 3 ottobre 2013, in Italia, più di 360 persone sono morte in un naufragio a largo dell’isola di Lampedusa. A questo sono seguiti diversi altri incidenti mortali nelle settimane successive.

Le traversate irregolari del mar Mediterraneo generalmente coinvolgono flussi migratori misti di migranti e richiedenti asilo, tuttavia, a causa dei conflitti in Siria e nel Corno d’Africa è stato registrato un aumento delle morti di persone in fuga da guerre e dalle persecuzioni.

Nel 2013, circa 40.000 persone sono arrivate irregolarmente in Italia, Malta e Grecia via mare. Nel 2011, durante la crisi in Libia, gli arrivi erano stati più di 60.000. Le traversate irregolari del Mediterraneo si verificano in genere tra marzo e ottobre, nei mesi primaverili ed estivi, ma quest’anno stanno proseguendo anche durante l’inverno, nonostante condizioni meteorologiche estreme. Finora, solo in Italia, sono arrivate via mare oltre 1.700 persone.

L’UNHCR ha esortato l’Unione Europea e ad altri governi a collaborare per ridurre il numero di morti di persone che intraprendenono queste pericolose traversate nel Mediterraneo e nelle altre principali frontiere marine del mondo, continuando a rafforzare le operazioni di ricerca e soccorso ma anche attraverso la creazione di canali di migrazione legale alternativi a questi pericolosi movimenti irregolari.

arton18900

 

 

Un agguato in stile mafioso ad un compagno dirigente del S.I. Cobas

 

Ieri pomeriggio il compagno Fabio Zerbini è stato attirato in una specie d’imboscata e pestato a sangue. Con la scusa di un incontro per risarcire i danni di un incidente automobilistico (uno specchietto rotto) avvenuto a fine dicembre, è stato attirato in zona Affori.
Appena sceso dall’auto, è stato assalito a tradimento e pestato a sangue.

Gli aggressori si sono quindi allontanati promettendogli una brutta fine se si occuperà ancora dell’organizzazione delle lotte operaie.

Questo pestaggio è la continuazione della strategia repressiva che combina l’intervento delle forze del disordine, con quelle dell’ordine di mafia, n’drangheta e camorra di cui hanno fatto le spese i nostri militanti sindacali , con minacce, processi, pestaggi, incendi d’auto ecc…

Più lo scontro politico si accentua, più si intrecceranno queste azioni atte ad intimidire la lotta dei lavoratori della logistica, ma solo l’estensione di questa, l’organizzazione di essa e dei COBAS potrà garantire una maggior difesa agli attacchi posti in atto dal padronato e dai loro sgherri, contro i sindacalisti attivi.

Non ci faremo intimidire!

Un caloroso saluto e una pronta guarigione va a Fabio, uno dei nostri compagni più in vista nelle lotte portate avanti tra gli operai della logistica.

Il S.I. COBAS nazionale
================================================================================

Una risposta adeguata al pestaggio di oggi

A tutte le strutture nazionali, territoriali e di fabbrica
A tutti i solidali con le lotte operaie nella logistica

Il pestaggio da me subito oggi può avere responsabilità dirette difficili da definire ma è, in ultima istanza, una chiara rappresentazione politica della reazione borghese al movimento di lotta che sta attraversando l’intero paese, con al centro i facchini (per lo più immigrati) della logistica e del trasporto

La scia degli episodi di violenza contro il movimento di sciopero che continua ad allargarsi è ormai abbastanza lunga da richiedere una risposta all’altezza della situazione con il chiaro obiettivo non di porvi fine (nessuno di noi si può illudere in questo senso) ma, piuttosto, di non segnare il passo e alzare ulteriormente il contenuto (non stupidamente le sole forme) dello scontro

Illusi quei nemici che pensano che tale movimento di lotta passi per alcuni militanti magari (?) più convinti e abnegati di altri.
Il movimento nasce da condizioni materiali ben precisi, destinati ad approfondirsi per via della crisi del capitalismo che impone uno sfruttamento sempre più intenso della classe operaia.
Attentati e pestaggi dei dirigenti e dei delegati più in vista, minacce e ricatti diffusi nelle fabbriche, licenziamenti e violazioni sistematiche dei diritti, cariche, denunce, fogli di via e arresti da parte degli organi repressivi dello stato, non sono altro che sfaccettature diverse di una verità che viene a galla. Da una parte gli sfruttatori dall’altra gli operai che vanno organizzandosi dal basso
Il conflitto è inevitabile e finalmente lo possiamo dire, l’esito tutt’altro che scontato

Stolti quindi anche coloro (tra i presunti amici) che si accontentano di gridare vendetta o che cascano dal pero e si inorridiscono per la violenza appellandosi alla democrazia e al rispetto delle sue regole. Perchè proprio questa è la democrazia, riflesso diretto, anche se distorto, di un dominio di classe che “qualcuno” ha deciso di sfidare, nella convinzione profonda che, battendosi per i bisogni elementari delle grandi masse, si possono anche raggiungere conquiste immediate, per quanto parziali.

Insomma, poco ci deve importare cercare di scoprire l’autore materiale dell’ennesima violenza anti-operaia di cui si è dovuta nutrire la nostra stessa scelta politico-sindacale in quanto S.I. Cobas
La mano che ha colpito non è cattiva (e a pensarci bene non ha fatto nemmeno un gran danno) ma è piuttosto una rappresentazione evidente del fatto che il padronato (incluso i suoi servi, o sgherri, ovviamente) non trova, al momento, una soluzione praticabile per sottrarsi dal ricatto dell’azione operaia.

Quindi, ancora una volta: che fare?
Al momento la mia proposta è una sola: la convocazione di un attivo pubblico di tutte le strutture del S.I. Cobas e di tutti i solidali con questa battaglia, per sfruttare al meglio l’occasione e rilanciare la lotta attraverso uno sciopero generale da organizzarsi….bene

Data la possibilità che tale incontro, che propongo si tenga Domenica 19 gennaio, alle 11 di mattina, possa vedere una certa partecipazione, propongo inoltre che si svolga al Csa Vittoria (Milano) ed in forma pubblica e nazionale

Aspetto conferme o critiche puntuali

Fabio Zerbini

 

INCONTRO: DOMENICA 19 GENNAIO ALLE 11 DI MATTINA AL CSA VITTORIA

La battaglia dei migranti per dignità e uguaglianza: non lasciamoli soli

dal sito MicroMega articolo di Annamaria Rivera

Siamo un paese smemorato, dove tutto si ripete ciclicamente come se accadesse la prima volta. Dove la memoria e l’esperienza non procedono per addizione ma per sottrazione. Dove lo sdegno per ingiustizie e misfatti pubblici resiste finché i media e qualche personaggio politico vogliono farlo durare.

Forti di tale consapevolezza, questa volta non dovremmo mollare. Ora che l’ondata di proteste, invero neppur’essa inedita, dei reclusi nei lager di Stato – si chiamino Cie, Cara o Cpsa – ha ottenuto una speciale risonanza pubblica, dovremmo resistere fino a ottenere una riforma radicale delle normative che regolano l’immigrazione e l’asilo.

Altrimenti tutto tornerà come prima. I lager ridiventeranno “centri di accoglienza”: così il 21 dicembre l’Ansa e molti quotidiani online, anche autorevoli, definivano il Cie di Ponte Galeria, dando per la prima volta la notizia della “protesta choc”, come dicono loro, delle labbra cucite. Il rischio è che siano presto dimenticati tanto le proteste estreme degli “ospiti” quanto l’atto coraggioso del deputato Khalid Chaouki, auto-reclusosi nel Cpsa di Lampedusa. Qui, ricordiamo, sono tuttora trattenuti diciassette sopravvissuti alla strage del 3 ottobre, che il gesto di Chaouki, pur di grande efficacia politica, non è riuscito a liberare al pari degli altri. I diciassette sono ristretti del tutto illegittimamente, in barba all’art.13 della Costituzione: nessun giudice, infatti, ne ha convalidato la privazione della libertà.

Conviene precisare che non è la prima volta che dei senzavoce si cuciono la bocca in segno di protesta. Di frequente lo fanno i detenuti in carceri “normali”. In Tunisia lo hanno fatto, tra gli altri, i “feriti della rivoluzione”, che i governi di transizione hanno abbandonato al loro destino d’indigenza e privazione di cure sanitarie. Lo hanno fatto nel passato recente altri “ospiti” dei lager di Stato, in Italia come in altri paesi, europei e non. Per esempio, a novembre del 2010, nel Cie di Torino, furono una decina a cucirsi la bocca, preceduti, nel Cie di Bologna, da una trentenne tunisina cui era stato rifiutato l’asilo. Nonostante la pregnanza politica e simbolica di questa forma di protesta, l’unica risposta delle autorità italiane fu un certo numero di deportazioni.

Siamo un paese smemorato, dove perfino gli autori della legge 40 del 6 marzo 1998 sembrano immemori del fatto che fu la loro creatura a inaugurare la detenzione amministrativa. Aprendo così la strada a un crescendo di violazioni della Costituzione, dello stato di diritto, dei diritti umani, della stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: violazioni quasi sempre approvate dal capo dello Stato di turno, compreso l’ultimo.

Siamo il paese dove anche rispettabili politici e rappresentanti di istituzioni, per non dire di buona parte dei giornalisti, ignorano la legislazione sull’immigrazione e quella sull’asilo; e suppongono sia sufficiente qualche ritocco alla Bossi-Fini per “umanizzare” il trattamento discriminatorio, ingiusto e/o crudele inflitto a migranti, profughi e richiedenti asilo. Ignari del fatto che si tratta invece di smantellare non solo i lager di Stato ma anche l’intero impianto che regge norme quasi tutte all’insegna del sorvegliare e punire: perlopiù ispirate dal principio di un diritto differenziato riservato agli “altri”, avarissime nel conferire i diritti di cittadinanza, a cominciare dalla nazionalità italiana e il diritto di voto.

Anche su quest’ultimo versante c’è il rischio che la montagna dell’attuale protagonismo politico di migranti e rifugiati produca solo qualche topolino nato male. Di recente, il ministro della difesa, Mario Mauro, ha avuto l’ardire di proporre “una piccola modifica della Costituzione per dare agli immigrati la possibilità di entrare nelle forze armate” e guadagnare così qualche punto per la concessione della nazionalità italiana. Insomma, se abbiamo capito bene, il ministro ribadisce l’idea di un diritto speciale riservato a una speciale categoria di persone. Abolita, di fatto, la leva obbligatoria da quasi un decennio, si tratterebbe, in sostanza, di reintrodurla solo per gli immigrati: una sorta di reclutamento degli ascari, che andrebbero così a costituire i “battaglioni indigeni”, di funesta memoria coloniale, magari da utilizzare per “missioni di pace” particolarmente difficili.

Non contento di questa bella trovata, nella stessa intervista a Libero Mauro oppone alloius soli, come si dice sbrigativamente, l’oscura nozione dello ius culturae: un concetto (si fa per dire) rubato a Giovanni Sartori, singolare impasto vivente di spocchia accademica, xenofobia smodata, competenza dubbia nel campo delle politiche su asilo e immigrazione.

Abbiamo citato questi spropositi solo per ribadire che occorre sventare il rischio che le proteste di migranti e rifugiati e una certa attenzione pubblica verso il tema dei loro diritti siano presto svuotate e cannibalizzate dalla politica politicista e dai giochi del governo delle intese semi-larghe. Si tratta dunque di alzare il livello della mobilitazione. Della quale una tappa importante sarà di certo l’appuntamento finalizzato a scrivere collettivamente la Carta di Lampedusa. Dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, infatti, movimenti, reti, associazioni delle due sponde del Mediterraneo si ritroveranno nell’isola per elaborare un patto costituente “che metta al primo posto le persone, la loro dignità, i loro desideri, le loro speranze”.

Ma una tappa ancor più rilevante sarebbe quella di una grande manifestazione nazionale, per affermare con vigore che questa volta non permetteremo che tutto ricominci come se niente fosse accaduto.

Chiudere tutti i Cie (e che si estinguano le anime belle, una volta per tutte)

dal sito di Nicoletta Poidimani, condividiamo e pubblichiamo

Nel 1957, Antonio Banfi così definiva le “anime belle”: […] coloro la cui unica preoccupazione è quella di essere sempre a posto con la coscienza e con i grandi principi. […] le “anime belle”, anche se animate dalle migliori intenzioni, finiscono quasi sempre nel campo reazionario.

Da quando, un paio di giorni fa, un telegiornale nazionale ha mostrato  il video del trattamento “disinfestante” imposto coercitivamente e in modo umiliante a donne e uomini rinchiusi in uno dei tanti lager di  Stato – il Cie di Lampedusa – si sono levate le voci indignate delle tante anime belle (e brutte) che popolano questo paese.

E non è la prima volta.

La pratica del piagnisteo è prassi consolidata, pulisce momentaneamente le coscienze di chi scopre cosa gli accade intorno solo se è catodicamente dimostrato. E si indigna. Oh, quanto si indigna! E nell’indignarsi rimuove di essere stato complice – quando non anche fautore – dell’esistenza dei lager del nuovo millennio.

Sono stanca di stare a ripetere che questi lager sono stati creati per legge nel 1998 dall’allora governo di centro sinistra; una legge che porta il nome dell’attuale presidente della repubblica e dell’allora ministra agli affari sociali.

Voglio, invece, rammentare a chi ha ma memoria un po’ troppo a breve termine che, da allora, ci sono stati processi su processi – tutt’oggi in corso – contro chi quei lager non li ha mai voluti.
Lecce, Torino, Bologna, Milano sono tra le principali città che hanno visto un susseguirsi di inchieste-farsa e processi contro donne e uomini che hanno voluto esprimere una solidarietà non solo parolaia con altrettanti uomini e donne rinchiusi lì dentro e hanno denunciato pubblicamente tanto le vessazioni, le violenze anche sessuali, l’uso massiccio di psicofarmaci propinati anche nei cibi – in una parola, la disumanizzazione – ma anche le connivenze e gli interessi ben poco “umanitari” degli enti gestori e delle aziende che di quei lager ne hanno fatto un business – Croce Rossa, Misericordia, Connecting People, Consorzio Oasi,…

E che dire degli immigrati e delle immigrate che, rinchiusi in quei lager, hanno messo in atto delle rivolte e sono stati, poi, processati – magari con tanto di ente gestore testimone dell’accusa – e incarcerati, fino ad essere di nuovo trasferiti in altri “lager della democrazia”?
Voglio ricordare chi, come Mohammed El Abbouby si è “suicidato” nel carcere di san Vittore a Milano quando ha scoperto che, una volta scontata la pena per aver partecipato ad una rivolta nel lager di Milano, vi sarebbe stato riportato. O chi, come Mubraka, si è suicidata nel Cie di Ponte Galeria pur di non essere deportata nel paese di origine. Come loro tanti altri. Per non contare l’infinità di atti considerati di “autolesionismo”: inghiottire lamette o pile, cucirsi la bocca, tagliarsi varie parti del corpo, …

Dove erano le anime belle mentre succedeva tutto questo? Troppo prese dai propri privilegi per esprimere almeno un moto di indignazione?

E oggi che vogliono? I lager “umanitari”, forse?
Lo abbiamo già visto con le guerre: basta che siano definite umanitarie, e i “se” e i “ma” si sprecano nel giustificarle.

L’altro giorno ho scoperto che negli Stati Uniti la schiavitù è stata sì abolita, ma non per chi è rinchiuso in carcere. In sostanza, il corpo di uomini e donne incarcerati è di proprietà dello Stato. Be’, almeno sono sinceri.
In Italia, invece, ci propinano la grandezza e l’umanità di Cesare Beccaria nell’impegno a ridimensionare l’uso della pena di morte, ma senza mai dirci che nel fare, con l’ergastolo, dell’essere umano uno schiavo – una “bestia di servigio” – l’illuminista Beccaria vedeva un
dispositivo assai più efficacemente dissuasivo perché spalmato nel corso dell’intera vita.

Sarà forse per questa formazione ideologica – nel senso di idee dominanti, in quanto della classe dominante – che le anime belle di tanto in tanto aprono gli occhi e si indignano per poi tornare alla propria misera quanto privilegiata quotidianità senza intaccare lo stato di cose esistente e gli apparati che ne garantiscono la perpetuazione?

Di fondo, poco importa. Importa, invece, prendere atto una volta per tutte che il dispositivo che in-forma e modella la vita sociale è quello delle istituzioni totali e che la banalità del male è un ingrediente del quotidiano.

In questo quadro delegare allo Stato che ha “inventato” l’ennesima istituzione totale – i lager per migranti – la soluzione del problema è profondamente stolto, così come è stolto pensare di risolvere con leggi repressive la realtà della violenza contro le donne.
Entrambi – lager di Stato e violenza sessista – sono funzionali al mantenimento dello stato di cose esistente (leggasi divisione sessuale, etnica e di classe del lavoro) e come tali vanno cancellati dalla Terra, non solo nella forma presente ma in tutte le forme con cui sicuramente si ripresenteranno mascherati.

E si fottano le anime belle, una volta per tutte!

quando c’era il futuro…

l’Ambulatorio Medico Popolare è lieto di invitarvi alla presentazione di

QUANDO C’ERA IL FUTURO

tracce pedagogiche nella fantascienza

di Daniele Barbieri e Raffaele Mantegazza

MARTEDÌ 26 NOVEMBRE

c/o PianoTerra Via Confalonieri, 3 – Milano (quartiere Isola MM 2 Gioia)

dalle ore 18,30

storie dei futuri possibili
raccontate da Daniele Barbieri
a partire da questo libro

a seguire aperitivo/benefit per l’AMP

 

quandocera