Condividiamo l’analisi di Angelo Zaccaria, autore del libro “La Revolucion Bonita. Viaggio a tappe nel Venezuela di Hugo Chavez”- ed. Colibrì- Milano. (25 Febbraio 2014).
IL CONTESTO
Quasi un anno dopo l’elezione del successore di Hugo Chavez, la situazione economica continua a registrare squilibri notevoli: alta inflazione, mercato nero parallelo della moneta in un paese dove vige il controllo governativo dei cambi, scarsità di alimenti e beni di prima necessità, insufficiente produzione di beni di largo consumo; persistenza di un modello economico ancora incentrato sulla esportazione del petrolio.
A questo si aggiungano gli alti livelli di violenza esistenti nel paese dove, a seconda delle stime del governo o di centri studi vicini all’opposizione, si registrano fra i 40 e gli 80 omicidi all’anno ogni 100.000 abitanti, il che fa un totale fra i 12.000 ed i 24.000 omicidi all’anno.
Difficile negare in tutto questo, dopo 15 anni di governo chavista ed in un paese dove lo stato maneggia grandissime risorse finanziarie, precise responsabilità del blocco di potere bolivariano: insufficiente battaglia contro la corruzione interna agli apparati statali, inefficienze e carenze di coordinamento nelle politiche economiche del governo, oscillazione perenne fra il radicalismo roboante della propaganda ufficiale e gli appelli retorici e para-religiosi alla conciliazione e collaborazione con l’impresa nazionale e con la parte “patriottica” dell’opposizione.
Ma è anche difficile negare l’esistenza di un progetto pianificato di poteri economici e finanziari legati all’antichavismo, desiderosi di dimostrare l’incapacità del governo di far funzionare l’economia. Basti pensare alle chiare responsabilità della media e grande impresa commerciale privata speculativa, nell’accaparramento e quindi nella creazione di scarsità e forti aumenti dei prezzi dei generi alimentari e di prima necessità. O al grave problema del contrabbando verso la Colombia del 30/40% di generi di largo consumo destinati dal governo alla vendita al pubblico a prezzi ribassati. Evidenti anche le responsabilità di settori del mondo industriale e finanziario privato, con la complicità dei funzionari corrotti dentro gli apparati statali, nell’appropriazione indebita di parte delle riserve di moneta forte derivante dai proventi del petrolio, e nell’alimentazione di un mercato parallelo ed illegale dei cambi. Da citare anche i frequenti e misteriosi sabotaggi al sistema elettrico.
Si tratta di strategie non nuove in America Latina: si pensi al boicottaggio e sabotaggio economico messo in atto in Cile nei primi anni ’70, per indebolire il governo di Unidad Popular di Salvador Allende e propiziare il colpo di stato di Pinochet.
I FATTI
Tutto comincia a inizio Febbraio, nei due stati Andini di Merida e Tachira, con alcune manifestazioni studentesche che responsabilizzano il Governo di Nicolas Maduro per i problemi economici e per quello dell’aumento della violenza, e ne chiedono le dimissioni. Sin dall’inizio al fattore di piazza, cioè alle manifestazioni con blocchi stradali, incendio di pneumatici, autobus e lancio di bottiglie molotov, si somma l’entrata in campo di fattori che operano secondo tecniche di tipo paramilitare: nello stato Tachira viene assaltata la casa del governatore chavista dello stato. Inutile rievocare l’importanza del paramilitarismo nella vicenda politica della vicina Colombia, copiosamente utilizzato insieme agli apparati repressivi statali, contro le opposizioni di sinistra ed i movimenti popolari.
L’ulteriore escalation delle violenze si verifica a Caracas nella giornata del 12 Febbraio, dove un corteo di studenti antichavisti convocato per protestare contro gli arresti seguiti ai fatti di Merida e Tachira, si conclude con scontri e gravi danneggiamenti nel centro della città e nella zona del Tribunale Supremo. Ci sono anche due morti, di opposte tendenze politiche, colpite dalla stessa arma da fuoco maneggiata da ignoti, ma comunque non dai reparti di polizia anti-sommossa operanti in piazza.
A questo punto la situazione si confonde ulteriormente. Da un lato il governo ed i movimenti di base e sindacali bolivariani denunciano (insieme a vari governi ed a quasi tutta la sinistra latinoamericana), il tentativo golpista di destra in atto contro il presidente Maduro, ed iniziano ad organizzare manifestazioni pacifiche a sostegno e per il rilancio del processo bolivariano.
Dall’altro lato da parte dell’opposizione antichavista prosegue in tutto il paese una serie di manifestazioni, grandi e piccole, studentesche e non, dove il vero obiettivo non è più la questione dell’economia o della criminalità, ma la defenestrazione del presidente Nicolas Maduro. Spesso questi presidi e cortei si concludono con blocchi stradali, incendi e danneggiamenti agli arredi urbani e ad edifici pubblici, incendi di stazioni della Metro e di camion carichi di alimenti, quasi sempre messi in atto da piccoli gruppi ed all’interno dei quartieri di classe media ed alta.
In tutte queste vicende aumenta il numero di vittime, assassinate nelle circostanze più varie: a ridosso di manifestazioni di piazza, ferite gravemente da cavi di metallo o filo spinato stesi in mezzo alla strada durante i presidi, durante attacchi a cooperative o centri di sviluppo economico appoggiati dal governo, o in altre circostanze ancora non legate direttamente a fattori o eventi politici. Parte delle vittime appartengono al campo bolivariano, parte no. Spesso gli assassini sparano da finestre di edifici limitrofi, o compaiono e scompaiono a bordo di moto di grossa cilindrata e dotati di casco integrale. Allo stato attuale queste vittime sono circa una dozzina in tutto il paese, ed i feriti parecchie decine.
Non tutto è chiaro in questo momento, ma ciò che è chiaro è che la maggior parte delle vittime, non cadono per mano dei reparti di polizia dipendenti dal governo e operanti in piazza. Questo non vuol dire che alcune vittime non siano dovute anche direttamente o indirettamente all’azione poliziesca. Ma ricordiamoci che siamo in Venezuela, un paese dove sino all’arrivo di Chavez al potere, la polizia, antisommossa e non, vantava una tradizione antipopolare di violenza sanguinaria e stragista, che provocò migliaia di morti, prigionieri politici, scomparsi, torturati.
Nel complesso appare sempre più nitido l’operare sul campo dei due fattori, guerriglia di piazza e piccoli nuclei di tipo paramilitare, entrambi uniti di fatto nell’obiettivo di far degenerare la situazione e certificare lo stato di caos ed ingovernabilità del paese.
A CHI GIOVA ??????????
Il governo di Nicolas Maduro, è appena uscito dalla sofferta transizione seguita alla morte dell’amato presidente Hugo Chavez, ed è reduce da un ciclo di nuove vittorie elettorali, di stretta misura quella alle presidenziali dell’ Aprile 2013, più marcata quella alle elezioni comunali di Dicembre. Un governo che si apprestava ad utilizzare il nuovo periodo che si apre, finalmente sgombro sino a Dicembre 2015 da nuovi impegni elettorali, per tentare di affrontare le varie emergenze economiche e sociali che affliggono il paese.
IL GOVERNO DI NICOLAS MADURO è PERTANTO L’ULTIMO AD AVERE INTERESSE AD INNESCARE UN PERIODO DI DESTABILIZZAZIONE, SCONTRI E VIOLENZE.
Ma forse è proprio qui il vero nodo: per quasi due anni in Venezuela non si vota, e quindi un settore dell’opposizione tenta la carta del caos e della violenza, di piazza e non, per indebolire il governo, tentare di saldare l’opposizione militante di settori giovanili e studenteschi al malcontento di settori popolari per la situazione economica, spostare a proprio vantaggio la posizione di fattori interni alle forze armate o dei governi che contano nella regione (Brasile in primis), provocare per via non elettorale la caduta del governo chavista. Sul piatto, inutile ricordarlo, le enormi ricchezze energetiche e naturali del paese.
E siccome il piatto è davvero ricco, non si esita a giocare sporco, e quindi fra un blocco stradale ed un paio di copertoni bruciati, compaiono i killers in moto col casco integrale o quelli che sparano dai palazzi, ammazzando sia chavisti che oppositori. Ma noi che viviamo in Italia, l’Italia della strage di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia, di Portella delle Ginestre e di Peppino Impastato, questi giochi sporchi purtroppo li conosciamo bene.
Sembra che questa strategia di tipo golpista appartenga per ora solo ad un settore dell’opposizione venezuelana, quella più rabbiosa ed oltranzista del partito di Voluntad Popular capeggiato dal da poco arrestato Leopoldo Lopez, mentre l’ala maggioritaria rappresentata da Capriles Radonski, quello che alle elezioni presidenziali del 2013 ha perso ma raccogliendo oltre 7.300.000 voti, continua a ripetere che “non è questa la strada” per uscire dal chavismo. Il tempo dirà se si tratta di vera divergenza o come io credo di divergenza provvisoria o forse addirittura di un gioco delle parti, soprattutto se, cosa che non mi auguro, la situazione dovesse aggravarsi.
LA LIBERA STAMPA, SEMPRE PIU’ STRABICA.
Ancora una volta abbiamo assistito ad un saggio di faziosità militante da parte dei mezzi di comunicazione globali sulle recenti vicende venezuelane. I media, sia stampati che radio-tv ed on line, hanno chiaramente giocato a sollevare il polverone e la confusione, con l’unico obiettivo di strumentalizzare per l’ennesima volta il sacrosanto tema dei diritti umani e delle libertà di espressione, per mettere in cattiva luce il governo di Maduro, la cui colpa vera è solo quella di tentare di rappresentare una alternativa o un punto di vista indipendente, in una geopolitica globale dominata dagli interessi delle grandi oligarchie economiche e finanziarie, degli USA e dei loro alleati europei e non.
Anche qui il gioco è stato davvero sporco: completamente rimosse le violenze di piazza dei gruppi giovanili anti-chavisti, presentati come paladini della libertà ma che per molto molto meno alle nostre latitudini verrebbero etichettati come pericolosi black-block. Accollate arbitrariamente alla polizia bolivariana tutte le vittime di questi giorni. Totalmente rimosse le responsabilità di settori del potere economico e finanziario privato venezuelano, nel giocare allo sfascio economico del paese. Su vari siti on-line ci si è anche dilettati nell’utilizzo di foto terrificanti di repressione di piazza in Egitto, Catalogna o Turchia, o di immagini splatter della guerra civile siriana, disinvoltamente proposte al pubblico come prove delle efferate violenze repressive messe in atto dal governo chavista.
In questo scenario la stampa italiana si è distinta, non certo per la capacità di adottare un taglio più obiettivo ed equilibrato, ma semplicemente per una maggiore distrazione rispetto al tema, in confronto ai grandi mezzi di comunicazione dell’America Latina, degli USA o della Spagna. Anche qui però la poca informazione filtrata è stata contrassegnata da manipolazione, superficialità ed approssimazione, o dai soliti titoli tendenziosi e ad effetto, e talvolta nemmeno corrispondenti all’effettivo contenuto dell’articolo.